Non sempre tamponi e test sierologici raggiungono risultati chiari e sicuri. Il tampone rino-faringeo sembra sia un mezzo valido per trovare la positività al Covid-19 ma, come è stato visto, tante volte presenta grossi limiti. Dunque, se così fosse, per scoprire la positività o meno al coronavirus, bisogna anche chiedersi quale sostegno potrebbero dare i test sierologici, i quali non individuano la presenza del virus ma solo degli anticorpi. Sappiamo che per confermare la diagnosi di Covid-19 occorrono analisi specifiche di laboratorio e non solo. Il tampone rino-faringeo ( test-molecolare di naso e gola) è l’esame che, ad oggi, può contribuire ad una diagnosi rapida: prevede il prelievo di un campione di mucosa della faringe posteriore (la gola), che viene conservato e analizzato in laboratorio secondo protocolli stabiliti dalle Autorità sanitarie. In aggiunta sono disponibili anche i test degli anticorpi.
In caso di sintomatologia sospetta e risultato negativo del test molecolare (tampone) per Covid-19, è raccomandata l’esecuzione di una seconda prova , su prelievo biologico, mediante broncoscopia: tracheo-aspirazione o lavaggio bronchiolo-alveolare (Bal). Sono riportati anche casi di tamponi negativi su pazienti con polmoniti interstiziali Covid-like; è importante comprendere il perché di questa falsa negatività: può darsi che ci siano state difficoltà durante il prelievo col bastoncino-cotton-fioc, oppure che il virus sia disceso nelle vie aeree inferiori ( trachea-bronchi) e non sia più rintracciabile in quelle superiori (naso-gola).
Il risultato ottimale dipende da chi fa il prelievo, da come procede in profondità, dal paziente che ha lavato bene la bocca, da come viene asportato, conservato e veicolato il materiale e , principalmente, da dove sosta il virus in quel momento. Il tutto, ovviamente, a patto che i test siano fatti in laboratori idonei e con protocolli tecnici validati. Il tampone naso-gola ha due grandezze mutevoli: la prima è quella del sanitario che lo esegue e che potrebbe commettere degli errori, la seconda è di chi giudica il campione raccolto in laboratorio. Consideriamo, per quanto riguarda i campioni, che fino al 30% può essere un falso negativo, se poi ci mettiamo gli errori umani ecco che il tampone può essere un falso negativo fino al 50% dei casi.
In alcuni casi gravi il virus si è sviluppato e moltiplicato nella parte profonda dell'apparato respiratorio e non si rileva nelle zone rino- ed oro-faringee. Può accadere, ma non è una cosa che avviene spesso. In generale, se il tampone fosse ben fatto e se i saggi utilizzati avessero la sensibilità giusta, diminuirebbe la possibilità che salti una diagnosi di Covid. Di solito, il tampone, è positivo solo durante lo sviluppo dell'infezione. E , se si perdesse quel momento, il soggetto uscirebbe di scena.
In linea teorica, è possibile essersi ammalato e non venirne mai a conoscenza. Se fossimo stati asintomatici, e non ci è stato fatto il tampone, potrebbe non rimanere traccia dell'infezione. Comunque, il tampone non sempre rivela il virus, e sono frequenti i falsi positivi. Mentre un test sierologico, fatto nei giusti tempi rispetto all’infezione, quantomeno può rilevare gli anticorpi specifici contro il virus. Il tampone è tutt’altro che infallibile: la dimostrata, considerevole, falsa negatività è un’ evidenza che porta a dover “rinnovare” il tampone per incrementarne l’affidabilità diagnostica e per poter monitorare i soggetti a rischio nel tempo. La sensibilità di questa analisi è infatti del 60%, nel senso che in quattro casi su dieci non si riesce ad avere una diagnosi giusta. E’ un sistema che va integrato con la clinica. Dovremmo allora parlare di garanzia dei tamponi attraverso prove, che come affermano gli addetti non sono state possibili a causa dei tempi. Infatti, normalmente, si lavora su accertamenti e verifiche ampie ed importanti per confermare la sicurezza dei tamponi stessi -che richiedono perfino un anno-: in realtà i produttori dei kit hanno agito confidando sulla pratica ed esperienza e non tanto sul metodo scientifico.
I test sierologici per trovare gli anticorpi anti coronavirus, pur avendo una certa utilità in analisi ad ampio raggio per verifiche su soggetti che siano stati molto esposti (ad esempio medici, infermieri , assistenti di comunità), non lo sono altrettanto per certificare l’immunita’ degli altri cittadini, perchè paradossalmente possono essere poco specifici e portare fuori strada. Gli esami del siero (parte liquida del sangue) un po’ più credibili sono quelli quantitativi e avvengono mediante un prelievo venoso, ossia conteggiano gli anticorpi (immunoglobulina) IgM,IgG, IgA,IgE sviluppati dal nostro sistema organico contro il virus; l’esito si conosce dopo diverse ore. Al contrario, i test qualitativi attuati su goccia di sangue aspirato dai capillari del polpastrello di un dito, disponibili anche in kit personalizzato, non sono molto attendibili; l’esito si sa dopo pochi minuti ( test rapido) con una risposta netta e immediata tra positivo e negativo: anticorpi rivelabili o non presenti. E’ noto che tutti coloro risultati positivi a questi test, producendo una reazione anticorpale, avrebbero avuto a che fare col virus acquisendo una ipotetica immunità per successive reinfezioni. Ma è proprio così, oppure la questione è più complicata ? L’attendibilità di questo metodo è stata messa in profonda discussione da più voci all’interno della comunità scientifica. Ad oggi non esistono test in grado di fornire tout court “patentini d'immunità” contro il Covid-19, per la quota di falsi positivi o negativi.
Un altro problema dei test qualitativi è la soggettività nel rilevo della positività: la lettura delle bande per le IgG o le IgM è soggettiva, perché spesso tali bande sono di lieve entità e di difficile interpretazione. Il tampone positivo vorrebbe dire che il virus è in circolo nell’organismo. I test sierologici servono a individuare chi è entrato in contatto con il Covid-19 e a rilevare gli anticorpi prodotti. Al momento il tampone, a differenza dei test sierologici, può essere fatto soltanto nei centri autorizzati (e non presso le cliniche o i laboratori privati) che li destinano solo a categorie ben precise, dai sintomatici ai sanitari. Si registrano tanti pareri differenti sull’utilità o menodei test sierologici, tant’è che sono ancora oggetto di discussione. Comunque tutti sono d’accordo sul fatto che sarebbero utili soprattutto per la siero-epidemiologia, che ci dirà quanto questo virus ha circolato nella popolazione, ed anche per tracciare nel tempo la sua diffusione in una comunità anche ristretta; come per analizzare lo stato immunologico in determinati gruppi di persone. Ci dicono chi è stato infettato (e quindi quanto la malattia è penetrata nella popolazione). Le persone che hanno avuto una forte risposta anticorpale hanno probabilmente meno probabilità di contrarre la malattia una seconda volta e possono conferire 'immunità di gregge', proteggendo effettivamente gli altri, perché non sono più in grado di essere untori. Possono essere utilizzati per identificare potenziali donatori di plasma convalescente e per valutare la risposta immunitaria ai vaccini in corso di sperimentazione. E’ noto che tutti i virus respiratori danno un certo grado di immunità, quindi dovremmo augurarci che lo faccia anche Covid-19. Quindi sono importanti ai fini epidemiologici e diagnostici retrospettivi. Invece, sono insufficienti ai fini della certezza diagnostica e a livello clinico. Pertanto inutili come elemento diagnostico individuale : non è consigliabile andare a fare il test privatamente perché le probabilità di avere un risultato errato sono alte.
Al momento, gli studiosi affermano che il corpo umano fabbrica le immunoglobuline (anticorpi) IgM dopo circa 4-7 giorni dalla presentazione dei sintomi virali e, a distanza di qualche settimana, questi agenti difensori scompaiono; le IgG , invece, attive al 9-14° giorno dalla comparsa della sintomatologia , restano in circolo anche dopo la guarigione del malato nonostante che, quest’ultimo, risulti negativo al tampone in quanto privo ormai della cosiddetta “carica o forza virale”. Tuttavia, in parecchi soggetti infettati dal coronavirus si è osservato che le IgG e le IgM ( e anche le IgE) appaiono in contemporanea. La scienza spiega questo fenomeno riferendosi all’assunto che , nel corpo umano, opera una sorta di reattività incrociata con i vari coronavirus abituali che provocano il raffreddore comune e allergico, verso i quali virus esiste una memoria immunitaria che mette in moto l’azione contrastante delle IgG e IgM e di altre immunoglobuline.
Alcuni ricercatori mettono in dubbio l’efficacia di un’estensione di massa dei test sierologici per il Covid-19. Alla base delle argomentazioni, la scarsa conoscenza della risposta anticorpale in individui asintomatici e la necessità di studi di validazione che escludano la possibilità della predetta reattività crociata con i virus prevalenti (tra cui appunto il raffreddore). Alti valori di IgE al primo test si registrano, ad esempio, in persone affette da qualunque allergia (acari compresi), e anche in presenza di infestazioni parassitarie (vermi intestinali, tenia ecc.), nei forti fumatori, in presenza di cirrosi epatica, mononucleosi infettiva o altre malattie virali. Il valore di ogni test sierologico si misura in base alla loro sensibilità e specificità. La prima rappresenta la capacità di scoprire i soggetti positivi, ovvero quelli che hanno gli anticorpi contro il coronavirus; la seconda , invece, è la facoltà di identificare i casi negativi che non possiedono questi anticorpi. Un basso grado di sensibilità porta a falsi negativi, mentre un analogo grado di specificità determina falsi positivi (persone negative che risultano positive alla prova anticorpale). Pertanto, test sierologici quantitativi considerati ottimali possono sviare del tutto dal risultato vero, qualora fossero applicati e letti in modo sbagliato. E’ proprio la diffusione della malattia che condiziona la precisione del test individuale, in quanto la statistica si fa sulla prevalenza dell’infezione. In pratica, dal calcolo della probabilità, estrapoliamo che un test positivo è verosimilmente reale (circa il 99%) quando il 90% della popolazione toccato dal virus è immunizzato; viceversa se risulta immunizzato il 10% della popolazione, la possibilità che il test positivo sia esatto scivola verso il 67% e precipita al 50% qualora le persone immuni siano il 5% dell’insieme.
Ad ogni modo, statisticamente parlando, il test assume un ruolo importante quando le indagini vengono effettuate su larga scala e per alti numeri, in modo da fare valutazioni di carattere generale. In più , diventa di notevole supporto per scoprire l’entità della diffusione del coronavirus in ambiti circoscritti di popolazione (cluster, cioè gruppi ristretti) facilmente esposti all’infezione, come i medici e altri lavoratori/professionisti della sanità. In questi ultimi, abbastanza in “mostra” rispetto ad altri, anche un parametro di un singolo sanitario/operatore dentro questo cluster gioca un ruolo importante. Difatti, un sanitario con test negativo viene esaminato con tampone naso-faringeo ogni settimana, mentre quello con test positivo viene controllato con tampone a intervalli maggiori (qualche mese).
Se volessimo sapere di avere o meno una licenza di immunità (aver subito e superato la malattia), allora i test sierologici disponibili sul mercato non daranno la risposta che si desidera, neppure con quelli quantitativi (prelievo del sangue venoso), che permettono di seguire i livelli di anticorpi (titolo anticorpale) di un soggetto nel tempo . Però, come succede per altri virus (morbillo, rosolia, citomegalovirus) occorre prima fissare dei “livelli di soglia” che consentono di distinguere un soggetto immune da uno non immune. Ovvero, si dovrà stimare quali sono i gradi di protezione. Ad oras, non è sicuro che i test verifichino la presenza di anticorpi neutralizzanti il coronavirus.
Un’altra situazione da chiarire è quella che, durante la prima settimana dal contagio o dall’esordio dei sintomi, non si vedono anticorpi in giro. Perciò, una persona potrebbe essere infettata, ma dare un test negativo. Un terzo punto cruciale riguarda i soggetti che risulteranno positivi ai test sierologici, ma potrebbero essere ancora contagiosi perché la presenza delle immunoglobuline G (IgG) segnala in effetti che c'è stata una contaminazione -come minimo- 14 giorni prima. Allo stato di studi e conoscenze, questi test sierologici non hanno finalità diagnostica e non possono rimpiazzare la convalida eziologica di Covid-19 attraverso l'individuazione e riconoscimento del filamento/sostanza genetica virale (Rna) da tampone rino-faringeo che ricerca, appunto, il profilo genetico del virus patogeno. I test possono offrire una informazione in più, e dirci, comunque, se abbiamo o meno incontrato il virus. In pratica non si tratta propriamente di un test diagnostico, ma di un test orientativo. Tuttavia, è ancora possibile essere contagiati e farla franca al tampone e a test vari.