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I video della moda ormai fanno concorrenza al grande cinema

Non abbiamo paura di esagerare: come John Galliano con Nick Knight nessuno mai. E poi Schiaparelli, Tod’s, Vivier, Armani... Il fashion film è ormai un'arte

I video della moda ormai fanno concorrenza al grande cinema

Come John Galliano nessuno mai. Come John Galliano con Nick Knight nessuno mai più, probabilmente. Sappiamo di scrivere ancora sotto l’influsso del documentario che, poche ore fa, ha mostrato al mondo non solo la nuova collezione primavera 2021 di Maison Margiela ma il pensiero, l’ispirazione, la tecnica e la storia che l’hanno ispirata; e sì, certamente siamo enfatici. Certamente esagereremo un po’. Ma in queste settimane di fashion week in gran parte digitali, dove pure abbiamo visto filmati, rappresentazioni e immagini di rara innovazione e capacità narrativa, anche e soprattutto se paragonate a quelle spesso stantie del cinema, questo film abbastanza lungo da poter essere portato sul grande schermo rappresenta la quintessenza di ogni arte, poesia e danza comprese, messe in scena al massimo della contemporaneità e con il massimo rispetto delle tradizioni. 

 

No, crediamo di non poter essere più enfatici di così, in effetti. Se vi foste mai chiesti come nasca una collezione di moda, qual è lo spirito che la anima, i pensieri sui quali viene modellata, le forze umane, artigianali e la tecnica che convergono su quest’idea per farle prendere forma, il significato di ogni singolo capo e come tutto questo possa essere infinitamente poetico e riguardare non solo il suo autore ma proprio voi, proprio noi, da vicino, ecco, cercate su youtube il filmato (per velocizzare il processo vi copio il link, https://www.youtube.com/watch?v=3bGmpHubaHo ) , prendetevi una mezz’ora e guardatevelo dal primo all’ultimo fotogramma. Non sarà tempo perso. 

 

E poi, se vi fosse venuto un certo appetito di narrativa per immagini e suggestioni di qualità come questa, cercate il filmato di Christophe Tiphaine per la collezione di Schiaparelli disegnata da Daniel Roseberry, soffermandovi in particolare sul processo creativo dei gioielli, che reinterpretano la lezione surrealista già esplorata dalla fondatrice, Elsa Schiaparelli appunto, ma guardano alle tradizioni mortuarie micenee, alla maschera di Agamennone scoperta nel 1876 da Heinrich Schliemann e conservata al Museo Archeologico di Atene. La moda non è mai questione di vestiti, e nessun altro momento più di questo, dove ogni brand ha dovuto dare il meglio di sé per attrarre l’attenzione di clienti che erano innanzitutto spettatori, l’ha dimostrato. Interessante la costruzione filmica di Tod’s, adorabile il racconto Cinemathèque di Roger Vivier, guidato da Isabelle Huppert; perfetto nella sua estrema semplicità il racconto di Giorgio Armani, “sporcato” solo dalle esigenze di banalità della tv generalista dove è stato in parte trasmesso. L’unico film davvero non riuscito - ma solo per eccesso di suggestioni e scarsa capacità di sintesi - di questo lungo tour di sfilate viste in gran parte dalla scrivania di casa, è quello di Burberry. 

 

Perfino Luca Guadagnino, che certo non ha dato gran prova di sé nel documentario sulla storia di Salvatore Ferragamo presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, nei dieci minuti di suggestioni sulle architetture milanesi e i volti della collezione Ferragamo trasmessi l’altra settimana alla Rotonda della Besana ha saputo essere convincente e mostrare un punto di vista interessante. Forse, il lungometraggio richiede capacità di tenuta narrativa e di scrittura che i registi di oggi possiedono raramente, ma è altrettanto vero che, senza una grande scrittura, il film di Nick Knight per Maison Margiela non sarebbe la meraviglia che è. Dunque, per la prima volta, dobbiamo inchinarci all’evidenza: il cosiddetto fashion film è diventato un’arte a sé. E inizia ad aver molto da insegnare al cinema dei grandi festival.

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