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Gli scenari per il futuro

Infrastrutture, Margiotta: Più coraggio per gli interventi che servono

Intervista al sottosegretario al Mit: dalle grandi opere ad Aspi, dalla manutenzione di strade e ponti a ‘Italia veloce’. In attesa del Recovery Fund

Infrastrutture, Margiotta: Più coraggio per gli interventi che servono

“Dobbiamo correre, perché il Paese ce lo impone per rispondere alla crisi”. Ingegnere, docente universitario e senatore del Pd, dal 13 settembre 2019 Salvatore Margiotta è sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel Conte II. Sui fondi europei dice: “La sfida viene ora. Ottenute le risorse dobbiamo dimostrare di essere bravi”.  E sul Governo: “Dura se agisce”.

 

Sottosegretario, partiamo da Autostrade e da Atlantia che non intende più accettare la cessione di Aspi a Cassa depositi e prestiti. Dopo l’accordo di luglio permane la “situazione di stallo”. Lei che dice?


Sen. Margiotta: “Dico che la vicenda è stata impostata male sin dall’inizio e non dal nostro Governo. Dopo di che, quando una vicenda parte male, inseguirla è sempre complicato. Ciò premesso, c’è una cosa che non può essere discussa e cioè che ‘pacta sunt servanda’. Rispetto all’accordo sottoscritto a metà luglio tanto il Governo quanto Atlantia hanno un solo dovere: rimanere a quel patto e a quelle condizioni. Chiunque se ne sfili - e mi pare che sia Atlantia a volersene sfilare, ma direi la stessa cosa se lo facesse il Governo, per quanto sia il mio Governo - fa un errore e, quindi, si mette dalla parte del torto”.  

 

Il caso della concessione di Autostrade è esploso all’indomani della tragedia del Ponte Morandi. Quell’evento ha posto in tutta la sua drammaticità il problema della manutenzione ordinaria di infrastrutture realizzate decenni fa. 


Sen. Margiotta: “Abbiamo un grande tema nel nostro Paese che è quello della durevolezza delle nostre infrastrutture, e per la verità anche del patrimonio edilizio, soprattutto quello delle periferie urbane degli anni ’60. Mio padre, che è un ingegnere di 95 anni, già tantissimi anni fa mi raccontava che mentre della muratura conosciamo la durata, praticamente eterna, basti guardare il Colosseo o le Piramidi, del cemento armato no. Perché è troppo fresco di applicazione per sapere quanto dura. Ma una cosa è certa: soprattutto nei casi in cui si è costruito male, pensare che questi manufatti abbiano una durata infinita è una follia. In Italia il problema della manutenzione di tutto il costruito è serio: viadotti e ponti sono per lo più degli anni ’50 e 60’, anni in cui si costruiva anche bene e velocemente, ma adesso per motivi che possono essere diversi hanno bisogno di interventi”. 

 

Cosa si sta facendo?


Sen. Margiotta: “Per la verità tanto le concessioni autostradali quanto Anas dopo la tragedia del Ponte Morandi stanno cominciando a fare di più. Ma il problema più serio riguarda Comuni e Province che non hanno i soldi per fare il monitoraggio e per investire nel caso in cui si evidenzino interventi da fare. Come Ministero stiamo provando, dopo aver predisposto in questo ambito delle linee guida, a chiedere le risorse del Recovery Fund. Perché, paradossalmente, ci è più facile intervenire sulle opere di carattere nazionale. Molto più difficile è reperire i fondi quando le opere sono gestite da Comuni e Province”.

 

Anche il dissesto idrogeologico e i cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova il sistema infrastrutturale del Paese. Basti guardare i danni provocati dall’alluvione che lo scorso fine settimana ha devastato il nord ovest. In tema di prevenzione cosa si sta facendo?


Sen. Margiotta: “Tanti anni fa, quando con Ermete Realacci cominciammo ad occuparci di cambiamenti climatici, sembrava che il tema fosse da snob, da radical chic. Oggi i mutamenti del clima sono una realtà violenta anche in Paesi come il nostro. Oggi, ai ritardi evidenti degli interventi sul dissesto idrogeologico - ci sono fondi non spesi probabilmente da dieci anni e più - si somma l’emergenza del clima. Il risultato è questo sconquasso che periodicamente si abbatte su una o l’altra parte del Paese. A volte incidendo su opere che tengono ma hanno il terreno che cede, a volte su opere che non tengono, ad esempio i viadotti che cadono perché costruiti male. Il combinato disposto di strutture a volte non sicure e un territorio fragile determinano i danni che vediamo. Le do per certo che ci sarà un’attenzione sul tema anche nel Recovery Fund. Ma detto questo bisogna avere più coraggio nel fare le cose che servono, nell’ottenere le autorizzazioni, nello spendere i soldi, nell’aggiudicare le gare. Bisogna che tutti coloro che hanno un ruolo in queste vicende si studino il decreto semplificazioni che ormai è legge. Perché ho la sensazione che non ci si renda conto delle potenzialità che ha la nuova legge per poter spendere velocemente soldi.”

 

Sono trascorsi 57 anni dalla tragedia del Vajont. Quello del 9 ottobre del 1963 fu un disastro umano e ambientale che si poteva evitare. 


Sen. Margiotta: “Fu una tragedia enorme. Una vicenda che da studente di ingegneria idraulica studiai a fondo. Tutta la documentazione che si riesce a reperire evidenzia la distrazione dell’intero sistema, devo dire colpevole. Il disastro fu provocato dall’impatto di una frana sull’invaso che determinò la fuoriuscita dell’acqua che travolse tutto. E ci insegna la necessità di avere un monitoraggio continuo su queste opere. Ma devo dire anche di un altro effetto. Da quel momento in poi in Italia non si sono più costruite dighe. Eppure avevamo una grande tradizione, le sapevamo fare e oggi ne abbiamo un grande bisogno. Ma quella vicenda, giustamente, ha così sconvolto l’intera comunità che ogni volta che si parla della costruzione di una diga è come se si toccasse un nervo ancora scoperto. Il che è assolutamente comprensibile. Ma il dissesto idrogeologico in alcune situazioni si combatte anche attraverso la loro realizzazione”.

 

Servono le grandi opere?


Sen. Margiotta: “Io penso che bisogna tornare ad avere l’ambizione di fare le cose bene, di studiare con grandissima attenzione, ma di farle. L’esperienza del Mose, che pure continua a suscitare polemiche, dimostra due cose: la prima è che l’ingegneria italiana è in grado di fare grandi, semplici cose. Perché il Mose ha un concetto banalissimo di funzionamento. Dall’altro, che non bisogna avere paura di fare le grandi opere. Quello che abbiamo visto l’altro giorno è che Venezia, che è un gioiello mondiale, oggi può non temere più l’acqua alta. Anche la polemica dei costi mi pare mal fatta. Quanto vale salvare Venezia rispetto ai cinque miliardi spesi? Venezia ha un valore incommensurabile. Ovviamente, gli aspetti giudiziari e le responsabilità penalmente accertate sono un altro discorso. Il Mose è un’esperienza che spinge ad essere più coraggiosi e a dire che le grandi opere servono al Paese. Quelli che credono nel Ponte sullo Stretto, ad esempio, possono trarne un entusiasmo in più per provare a convincere quelli che credono che sia un errore”.

 

Oggi paghiamo la mancanza di una programmazione organica. Troppo spesso ci sono stati interventi per singoli settori e singoli territori. Ora c’è il piano ‘Italia veloce’ varato a luglio dal Governo. Che tempi avrà?


Sen. Margiotta: “Parte di queste opere sono già finanziate, per altre - soprattutto strade - vanno trovati i fondi altrove. Un’altra parte ancora può trovare spazio nel Recovery Fund, soprattutto le ferrovie perché è più facile candidare in Europa opere ferroviarie che corrispondono al Green New Deal, a modi di spostarsi più rispettosi dell’ambiente. Al Sud lavoreremo su due grandi direttrici: una longitudinale, la Salerno- Reggio Calabria, e una trasversale che è la Taranto-Potenza-Battipaglia. Quanto ai tempi, si tratta di una variabile non indipendente. Si sta lavorando per arrivare entro il 15 ottobre quanto meno a dei grandi cluster. Il dettaglio dei singoli interventi dovrebbe, invece, arrivare entro gennaio. Ma è così vero che manca una visione organica che, ad esempio, sulla partita delle risorse idriche, di cui mi occupo, ci sarà un piano presentato dal ministero dell’Ambiente, uno dal ministero dell’Agricoltura e uno dal Mit. E questo è un evidente punto di debolezza. Non è possibile che tre ministeri parlino della stessa cosa. Bisogna presentarsi in Europa con un piano che sia comune, che dia l’idea di unitarietà nell’affrontare i problemi”.   

 

Lei è un politico di lungo corso e da tre legislature è parlamentare. Mi dica tre errori che il Governo non deve assolutamente fare in questa fase.


Sen. Margiotta: “Non deve stare fermo. Il che significa chiudere immediatamente alcune partite ancora aperte: Ilva, Alitalia, Autostrade. Sappiamo che abbiamo qualche difficoltà nel rapporto tra i partiti anche per le tensioni interne, soprattutto nel partito che ha più parlamentari di tutti. Ma questo non può essere motivo di stasi. Dobbiamo correre, perché il Paese ce lo impone per rispondere alla crisi. Secondo: è sbagliato che ogni partito metta la propria bandiera su ogni singolo provvedimento. Il Governo deve avere una visione alta e comune. Il terzo tema è la qualità di proposta, soprattutto rispetto all’Europa, che deve essere pari alla capacità di battere i pugni, cosa che Conte è stato bravo a fare per ottenere i finanziamenti. Ottenute le risorse ora dobbiamo dimostrare di essere bravi.  Serve una capacità di governo all’altezza di una sfida straordinaria che non pensavamo di dover affrontare. Venti giorni fa pensavamo che l’emergenza fosse quasi finita, e ora ci fa tremare di nuovo. Ho appena appreso che a scuola di mio figlio riprende la didattica a distanza. Cos’altro aggiungere per dire che probabilmente ricomincia un periodo duro per tutti noi”. 

 

Il Conte II durerà fino al 2023?


Sen.Margiotta: “Sono d’accordo con il segretario del mio partito (Zingaretti ndr). Il Governo dura non per convenienza o perché bisogna arrivare ad ogni costo a gennaio 2022 per eleggere il Capo dello Stato. Dura se le cose che ho detto prima le sa fare e le fa. La mia lunga esperienza di parlamentare mi dice che quando all’interno del Parlamento la situazione si sfilaccia, come disse una volta Prodi “anche se non la si vuol fare in una crisi ci si casca”. Non credo che siamo a quel punto. Però dico che per non far sfilacciare le situazioni parlamentari bisogna dare l’idea che c’è un treno in corsa e che non lo si può fermare. Se il treno si ferma di per sé, il Parlamento è una brutta bestia, nonostante gli innegabili istinti di autoconservazione”.  

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