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Il medico scrittore

I danni del Covid dopo il Covid, si può essere guariti ma non sani

Dopo l’infezione i polmoni devono restare osservati speciali per almeno un anno dopo la scomparsa del virus. E serve una cura per “ridare il fiato”

I danni del Covid dopo il Covid, si può essere guariti ma non sani

Abbiamo diversi dati sulle conseguenze  da Covid-19: molti studi nel mondo stanno dimostrando che il virus, dal quale fortunatamente si può guarire, lascia nelle persone colpite conseguenze anche gravi a medio e lungo termine. Si ritrovano tracce nei polmoni anche dopo mesi. E i lavori più recenti confermano  gli studi già realizzati in Cina a seguito della polmonite da Sars Covid 1 del 2003, abbastanza simile a quella odierna, dove si affermava appunto che anche il recente virus comporti effetti collaterali e danni che non scompaiono alla risoluzione della malattia. Per poter far luce su tali effetti, le persone con sintomi, anche lievi, dovranno sottoporsi ad analisi per oltre un anno.  

 

Ne consegue che l’infezione polmonare da coronavirus può lasciare un’eredità cronica sulla funzionalità respiratoria: si calcola  che , mediamente, occorrono da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che in certi casi potrebbe non essere completo, con possibili evoluzioni peggiorative con problemi respiratori cronici. Infatti, in tanti malati Covid-19 ricoverati e/o intubati, dopo la dimissione osserviamo ancora insufficienza respiratoria cronica, esiti fibrotici e bolle distrofiche, con  alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, come una ridotta capacità respiratoria, una diminutione del volume polmonare, poca forza dei muscoli respiratori e, pertanto,  scarsa resistenza allo sforzo. Si tratta di difficoltà che potrebbero protrarsi per molti mesi dopo la risoluzione dell’infezione. È quindi necessario seguirli con attenzione e soprattutto inserirli in adeguati programmi di riabilitazione polmonare.    

 

I sintomi principali sono: persistenza di affaticamento anche dopo una breve passeggiata, dispnea (mancanza di fiato), tachicardia, ma anche di mal di testa, difficoltà di concentrazione, depressione e, in generale, un difficile ritorno alla normalità. La stanchezza cronica, abbinata a difficoltà respiratorie di varia entità, riguarda  probabilmente anche disfunzioni neurologiche. Si rilevano, quindi, una perdita della massa muscolare, una capacità polmonare ridotta, delle embolie con quadri di diversa gravità e difetti di coagulazione del sangue.

 

È importante che la sofferenza e i disagi  di queste persone siano valutati anche dopo la sconfitta del virus. La maggioranza dei pazienti interessati da questa evoluzione appartengono ai gruppi a rischio: anziani, soggetti in sovrappeso o con pressione elevata etc.  Casi gravi si sono tuttavia sviluppati anche fra persone non a rischio. Questi problemi esistono anche in pazienti giovani. Per buona sorte, tra coloro che hanno avuto una polmonite da Coronavirus  non tutti presentano una fibrosi documentata con la Tac toracica, per quanto siano percentualmente molti i pazienti che presentano tale situazione polmonare. Oltre alla “fibrosi polmonare” che può essere anche idiopatica (senza causa nota) o conseguente ad altre patologie, si parla anche di “esiti fibrotici” post-polmonitici.  In una polmonite interstiziale gli “esiti” sono variabili in considerazione dell’estensione dell’interessamento dei polmoni, della gravità della malattia, dell’ospedalizzazione con eventuale supporto ventilatorio e della durata della stessa. 

 

Gli esiti fibrotici, cioè la cicatrice lasciata sul polmone dal virus, possono comportare un danno respiratorio permanente e irreversibile, secondaria ad un significativo danno polmonare progressivo, e costituiranno la “nuova patologia respiratoria del futuro”  e una nuova emergenza sanitaria, per la quale sarà necessario attrezzarsi per tempo, rinforzando le unità operative e i reparti di Pneumologia. La fibrosi polmonare, ovvero aree polmonari di fatto non funzionali ai fini degli scambi respiratori, rappresenta una patologia dell’interstizio polmonare che spesso tende a sovvertire nel tempo la normale struttura anatomica del polmone, dotata di un comportamento evolutivo che porta ad un progressivo aggravamento della condizione del paziente. Il parenchima polmonare coinvolto dall’infezione perde la sua normale elasticità strutturale, acquistando rigidità e scarsa funzionalità, determinando sintomi cronici e richiedendo cure domiciliari con ossigenoterapia, in certi pazienti.

 

La fibrosi potrebbe diventare, pertanto, il pericolo di domani per molti sopravvissuti al Covid-19 e rendere necessario sperimentare nuovi approcci terapeutici come i trattamenti con cellule staminali mesenchimali e le sostanze da esse prodotte che, secondo uno studio pubblicato già nel 2018, sono in grado di combinare gli effetti antinfiammatori e antifibrotici a quelli rigenerativi. Non è ancora ben definito se alcuni danni provocati dal virus nei pazienti gravi guariranno totalmente oppure no.  Una cosa è certa: i reliquati polmonari ci sono e, pertanto, avremo una nuova categoria di pazienti sintomatici cronici per tempi lunghi, che rappresenterà certamente un nuovo problema sanitario,  una vera e propria sfida per il sistema socio-assistenziale. 

 

Cosa fare? Secondo le indicazioni del vademecum pubblicato sul sito dell'European Respiratory Societ, e in accordo con le linee guida elaborate  dal British Thoracic Society, e dal National Institute for Health and Care Excellence, lo Scottish Intercollegiate Guidelone Network e il Royal College of General Practitioners i pazienti vanno innanzitutto identificati. Poi, trattati. E infine supportati per tornare alla vita quotidiana,  a fare ciò che era nelle loro possibilità psicofisiche prima della malattia. Secondo gli esperti, la malattia è estremamente eterogenea con tempi di recupero variabili in rapporto all’età e alle condizioni generali del paziente, come la presenza di altre patologie d’organo (insufficienza renale, cardiaca) eventuali altre malattie respiratorie pre-esistenti (comorbidità), in particolare la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Le persone con sintomi, anche minimi, dovranno essere controllate per oltre un anno.

 

Al momento, in base agli studi riportati in letteratura, è possibile praticare questa tipologia di interventi: indagine sui sintomi persistenti, dalla tosse, ai dolori al torace e alla dispnea e valutazione medico-pneumologica,  importante per porre una corretta diagnosi differenziale eseguendo i test necessari quali quelli di “imaging” per  “guardare dentro” al polmone. Il paziente dovrebbe essere seguito nel tempo sottoponendolo a test di funzionalità respiratoria:  spirometria globale e a DLCO, test funzionale che esplora l’eventuale compromissione della funzione di scambio dell’ossigeno a livello dell’interstizio polmonare, test del cammino di 6 minuti. Può essere indicato anche un riallenamento dei muscoli respiratori al fine di recuperarne la forza e quindi un percorso personalizzato di fisioterapia respiratoria. Sono, inoltre, importanti  eventuali cure inalatorie in corso d’opera.

 

Soprattutto nel caso di sportivi è molto utile approfondire la diagnostica con i test di funzionalità respiratoria completi (appunto la spirometria globale e test della diffusione) ed il test cardiopolmonare.  I pazienti vengono sottoposti a esame radiografico tradizionale (RX torace), ecografia toracica e cardiaca e, in casi selezionati, a tomografia assiale computerizzata a raggi X (TAC torace) per indagare sulla presenza di una pneumopatia interstiziale diffusa o di una embolia polmonare.  La TC del Torace eseguita  ad alta risoluzione (HR), a cura del Tecnico sanitario RX e del medico- Radiologo, fornisce preziose informazioni al medico curante e ai vari specialisti e operatori sanitari competenti per la gestione del paziente. 

 

Le immagini della TAC mostrano spesso quello che viene comunemente definito addensamento a "vetro smerigliato", un’infiammazione del polmone, spesso molto estesa, che ne compromette la funzionalità: ossia un’opacità con lieve perdita della trasparenza polmonare che rende meno evidenti i vasi e più evidenti  i bronchi. E’ causata da riempimento parziale dello spazio aereo (da liquidi o da cellule), da ispessimento del fine interstizio intralobulare, da parziale collasso degli alveoli, da incremento volumetrico del letto capillare, tutti questi elementi comportano una riduzione del contenuto aereo alveolare.
 

Come già accaduto negli esiti fibrotici dei pazienti che hanno superato altre malattie, tipo la tubercolosi polmonare, anche in questi esiti del Covid  è possibile che si evidenziano temporalmente dismorfie dei bronchi, le cosiddette “bronchioectasi da trazione”,  che  si associano alla condizione già invalidante della fibrosi. Trattandosi di una malattia multi-organo è previsto anche un prelievo di sangue per la valutazione degli indici di coagulazione, che possono avere ripercussioni sull’apparato respiratorio e sulla funzionalità epatica.    

 

Ecco il motivo per cui, anche in tempi di vaccinazioni, conviene stare attenti a non contagiarsi e non sottovalutare il coronavirus il quale è pericoloso pure in fase successiva e causa seri danni e non è affatto una "comune influenza". Credo che sia ora di pensare ad una cura che può “ridare il fiato”. Secondo i medici specialisti di Fisiopatologia respiratoria e pneumologia, è necessario prevedere Ambulatori post-Covid e adeguati controlli periodici per gestire il rischio dei danni permanenti circa i pazienti dimessi che sono stati ricoverati per  molto tempo  negli ospedali, in particolare nelle Unità di Terapia Intensiva, specialmente i più gravi e gli anziani più fragili, che potrebbero richiedere un trattamento attivo farmacologico e percorsi riabilitativi personalizzati in base al loro profilo di malati recuperabili.  

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