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La corsa al Colle e la maturità di cui i partiti devono dare prova

Pietra tombale di Mattarella sull’ipotesi di un secondo mandato. Ora tocca alle forze parlamentari assumersi la responsabilità e superare il guado.

La corsa al Colle e la maturità di cui i partiti devono dare prova

Sergio Mattarella è un fine giurista come lo era il presidente Giovanni Leone, passato alle cronache per scandali familiari e per questo costretto alle dimissioni, ma tra i più apprezzati professori di diritto del dopoguerra italiano e membro dell’Assemblea costituente chiamata a scrivere la nostra Carta Costituzionale. Non è un caso che il nostro presidente della Repubblica, il cui mandato è ormai vicinissimo alla scadenza, abbia richiamato le parole che Leone nel discorso alleCamerel’importanza di “introdurre” in Costituzione “la non rieleggibilità del capo dello Stato “con la conseguente eliminazione del semestre bianco”. Tra i costituzionalisti si è portati a ritenere, almeno secondo un indirizzo diciamo prevalente, che la rielezione di Giorgio Napolitano il 20 aprile del 2013 sia stata, e debba rimanere, un’eccezione.

 

Mattarella, già componente della Consulta, ha ribadito questo convincimento, mettendo ieri una pietra tombale sulla possibilità di un suo secondo mandato. Non è una novità. Più volte negli ultimi mesi - a fronte di uno scenario politico incerto, e con gran parte dei partiti che avrebbero visto nella sua rielezione un punto di sicurezza per blindare Mario Draghi a Palazzo Chigi e la conclusione naturale della legislatura, - il capo dello Stato ha rifiutato tale ipotesi.

 

Oltre a ragioni di carattere personale, ovviamente legittime, è molto probabile che sia prevalso in Mattarella il non apprezzamento per quella riterrebbe una ‘forzatura’ nell’interpretazione del dettato costituzionale. La carica, a cui i Padri costituenti hanno attribuito la durata più estesa nell’ambito dell’intero arco delle istituzioni, si avvale già di per sé di un periodo di esercizio particolarmente lungo. Prolungarla ulteriormente, seppure la Costituzione non lo vieti espressamente, potrebbe diventare uno strumento di ‘alterazione’ che l’inquilino del Quirinale, garante principale dell’ordinamento, non gradisce.

 

È fuori di dubbio che la congiuntura politica che viviamo sia assai speciale. Ma la povertà ideologica e politica dei partiti, sicuramente alla ricerca di ‘scorciatoie’ per non dover affrontare le lacune interne attuali, non può essere un alibi per evitare un salto di qualità e di maturazione, seppure in condizioni di conclamato svantaggio. L’elezione del nuovo presidente della Repubblica resta, in sostanza, una responsabilità delle forze politiche presenti in Parlamento e rappresentate nei Consigli regionali. E tale deve rimanere, senza tentativi di sottrarvisi per motivi di convenienza.

 

Il guado è vicino. E la presa di posizione di Mattarella che si farà da parte alla scadenza del suo settennato indica che il passaggio è obbligato. Molto dipenderà, e questo non è un mistero per nessuno, da quello che Draghi avrà intenzione di fare. Ma qualunque sia la scelta degli attori in campo, la regia dell’intera operazione dovrà mantenere il più alto profilo possibile, lasciando le beghe e le visioni miopi e personalistiche dei piccoli partiti fuori dall’orologio delle istituzioni.

 

Il capo dello Stato è garante degli equilibri e rappresenta l’unità nazionale. Una figura che ha il compito di osservare dal Colle più alto la vita istituzionale, ma pronto con repentina audacia e saggezza ad intervenire in presenza di debolezze o sfasature del sistema. A garanzia della democrazia e dei fondamenti della Repubblica. Nessuno può permettersi di perdere di vista che il bene primario è il Paese.

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