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Schemi quirinalizi

La politica prigioniera di se stessa può impedire scelte più alte

La Lega sostiene che con Draghi non è in corso alcuna trattativa. Ma Salvini rischia di fare ragionamenti di parte che possono mandare fuori strada

La politica prigioniera di se stessa può impedire scelte più alte

La giornata parte così, con un comunicato della Lega che smentisce la notizia di una sorta di negoziato tra il leader del Carroccio e Palazzo Chigi. “Non è in corso alcuna trattativa tra il senatore Matteo Salvini e il presidente del Consiglio Mario Draghi a proposito di un presunto rimpasto. È infondato e irrispettoso” per entrambi “immaginare che in questa fase, anziché discutere di temi reali come caro-energia, inflazione, scenari internazionali, opere pubbliche o Covid, siano impegnati a parlare di equilibri di governo. Sul Quirinale Salvini è al lavoro su alcuni nomi, donne e uomini, di altissimo profilo. Nessuna confusione, né perdite di tempo: la Lega vuole essere garante di stabilità, responsabilità e concretezza”. 

 

La linea leghista è quella di enfatizzare il lavoro che si sta svolgendo sui “nomi di altissimo profilo”, formula già ripetuta ieri. Ma l’impressione è che quello in atto sia un tentativo di alzare l’asticella perché in realtà l’incontro con Mario Draghi non è andato affatto bene. In sostanza, il presidente del Consiglio si è rifiutato di fare promesse o entrare in dettagli che esulano dal suo compito, come ad esempio indicare la formazione del nuovo governo nel caso andasse lui al Quirinale.

 

Il punto è un altro. Si ha l’impressione che la funzione di king maker della partita affidata a Matteo Salvini porti con sé diversi rischi. Primo tra tutti la personalità dello stesso leader, poco incline a ragionamenti super partes che invece la posta in gioco – l’elezione della prima carica dello Stato – richiederebbero. Non è un caso che Letta, il segretario del Pd, mostri ora una certa preoccupazione. “Così perdiamo Draghi anche a Palazzo Chigi”, dice. Ben sapendo che il premier non è uomo che resterà ad ogni costo alla guida del governo e che si farà da parte qualora la sua maggioranza non reggesse all’ondata quirinalizia. Si rischia una crisi di sistema e la congiuntura internazionale è tale da imporre di lavorare per impedire passi falsi. 

 

Per il Quirinale “abbiamo bisogno di un profilo chiaramente atlantista e che rassicurati i mercati, dice il capo del Nazareno. “Quando parlo di atlantismo mi riferisco a quello che sta accadendo tra Ucraina e Russia. Dobbiamo difendere l’Ucraina. Abbiamo bisogno di qualcuno che unisca il Paese come ha fatto Mattarella e che sappia rassicurare”. Il Pd, dunque, non smette di lavorare per Draghi al Colle. Ma sull’orizzonte di Letta da qualche ora si è affacciato un altro problema: l’’alleato’ Conte sarebbe più in sintonia questa volta con la Lega che non con il centrosinistra. Più di qualcuno pensa che il pentastellato disfi di ora in ora la tela che il dem tesse. Stamattina è la volta di un nuovo incontro Letta, Conte e Speranza per fare il punto sulla situazione e decidere come votare oggi alle 15, quando comincerà il secondo scrutinio. Vedremo l’esito.

 

Intanto, a mettere un po’ di zizzania ci pensa Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che ha deciso negli ultimi giorni di uscire di nuovo allo scoperto (una posizione defilata non gli è congeniale). “Salvini ha davanti a sé quattro ipotesi diverse”, dice. “La prima è insistere su un nome di centrodestra, anche contro un pezzo del Parlamento, sperando che passi, altrimenti fa la fine di Bersani. La seconda è cercare di fare un grande accordo con tutti su un nome fuori dal giro, un nome della società civile, che non è proprio il top. La terza ipotesi è che stia cercando di fare un accordo con i gialloverdi - in pratica con Conte - e la quarta è andare su un ‘usato sicuro’”.

 

Il momento è molto delicato. Da giovedì il quorum da raggiungere sarà di 505 voti, non più 672. Il rischio è che un nome possa uscire dal cilindro tra mercoledì notte e il giorno dopo e passare in volata in Aula. Un gioco d’azzardo in una partita che richiede invece grande ponderazione, lungimiranza e saggezza politica. La questione non è togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti di Mario Draghi ed escluderlo dalla corsa perché inviso a questo o a quel leader. Il punto è assicurare all’Italia una figura di alto prestigio, di indiscusse autorevolezza e capacità e che farà il bene del Paese nel settennato a venire.

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