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L’ex grillino con Forza Italia

Il caso De Vito, il trasformismo e i programmi politici che mancano

Stiamo assistendo a un’accelerazione dei cambi di casacca. Ma senza una visione la politica non è in grado di rivitalizzarsi e ricostruire se stessa.

Il caso De Vito, il trasformismo e i programmi politici che mancano

È davvero difficile immaginare il senso politico della scelta di Forza Italia di prendere a bordo il grillino Marcello De Vito. Gli azzurri vivono uno dei periodi peggiori dalla loro fondazione e corrono persino il rischio di sfaldamento. Dopo che Silvio Berlusconi ha aperto all’idea della ‘federazione’ con la Lega si sono acuiti i mal di pancia delle varie fazioni. Con le ministre Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini – stavolta alleate - che rifiutano l’ipotesi di una annessione e di gruppi unici in Parlamento.

 

In un quadro estremante disgregato, e a una settimana dallo strappo di 11 deputati passati con Giovanni Toti e Luigi Brugraro sotto l’egida di Coraggio Italia, si innesta il nuovo “acquisto”. L’operazione, patrocinata dal coordinatore nazionale Antonio Tajani, e dal responsabile enti locali Maurizio Gasparri, a fianco di De Vito in conferenza stampa, è ulteriore motivo di contrasto interno e scuote le anime azzurre. In particolare, quella del deputato Andrea Ruggieri. “Provo autentico ribrezzo”, dice. “Mi dissocio dall’idea di imbarcare un grillino dei peggiori”. 

 

De Vito è uno dei pentastellati della prima ora, uomo forte del Movimento nella Capitale, coinvolto nello scandalo dello stadio della Roma di Tor di Valle, e per questo finito in carcere per corruzione. Non si è mai dimesso però da presidente del Consiglio comunale, incarico che continua a ricoprire mentre Virginia Raggi non ha più una maggioranza. Ora giura che “Silvio Berlusconi è meglio di Beppe Grillo” e che la sua fuoriuscita dai 5S è dovuta alle “capriole ideologiche” di questi ultimi. Alle comunali del 2016 ha portato in dote 6.500 voti, un borsino nemmeno così corposo da renderlo particolarmente attraente. 

 

Per comprendere meglio potremmo argomentare che il Paese vive una fase che sta accelerando i processi trasformistici. La fine della parabola dell’antipolitica – di cui anche gli attuali 5S sembrano essere pienamente consapevoli – ha fatto da sprone alle capacità camaleontiche di alcuni personaggi politici. Basti pensare che i cambi di casacca in Parlamento, nel corso dell’attuale legislatura, sono stati più di 200. Il M5S, partito nel 2018 con la pattuglia più numerosa, ha perso 60 deputati e 33 senatori. Solo due giorni fa un altro addio, quello dell’ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta.

E ieri, l’adesione dell’ex direttore del Tg5 Emilio Carelli, già uscito dal Movimento, al partito del sindaco di Venezia. “I cinquestelle sono finiti”, afferma. Molti i parlamentari che di gruppi ne hanno addirittura cambiati diversi, spesso transitando nel Misto, per poi approdare in altri porti. Il record appartiene al senatore Giovanni Marilotti, dai 5S passato al Misto, poi alle Autonomie, al Maie, di nuovo al Misto e infine al Partito democratico.

 

È evidente, dunque, che mai come adesso la politica è incentrata sulle persone, arrancando sui punti di caduta programmatica. Così è lecito dubitare dell’autenticità di certe manovre. Mentre è chiaro che gli elementi per sperare in una rivitalizzazione realistica della politica sono pochi. L’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi per forza di cose ha messo in stand by vecchi equilibri e i partiti sono alla ricerca di nuovi schemi per sopravvivere. Ma non è con i transfughi che si conquista consenso. Per quello serve anche una visione.

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