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Il partito futuribile

Il Movimento Cinque Stelle cerca se stesso ma Conte resta ondivago

Il voto sul leader, la plenaria dei comitati, il tentativo di unità. Intanto la mossa dell’avvocato sulle spese militari mette in difficoltà anche Di Maio

Il Movimento Cinque Stelle cerca se stesso ma Conte resta ondivago

Tutti al voto. Mentre gli iscritti dei Cinque Stelle da ieri possono esprimersi on line e decidere se confermare come leader Giuseppe Conte e tutti gli altri organismi politici previsti dalla nuova struttura, si apre oggi a Roma la riunione plenaria dei Comitati tematici e politici del Movimento. Una due giorni di incontri per “un importante snodo del nuovo corso”, fa sapere una nota, e che secondo l’ex premier servirà a “rinnovare e rinforzare lo spirito di gruppo e di squadra in un momento cruciale tanto per il Paese quanto per il Movimento”.

 

Il tentativo di Conte è quello di ricompattare le diverse anime grilline, che da tempo procedono in ordine sparso, e di elaborare proposte unitarie sui temi principali in agenda. Per il voto sulla leadership che si conclude stasera, Conte confida su un numero decisamente maggiore di votanti rispetto alla tornata precedente. E su un plebiscito che lo riconfermi al vertice fugando ogni dubbio sul fatto che il capo indiscusso sia lui (è anche l’unico candidato). Per raggiungere l’obiettivo non ha esitato pochi giorni fa a cambiare radicalmente linea sull’aumento della spesa militare decisa dal governo Draghi, provocando non poche fibrillazioni nella maggioranza.

 

Alla Camera dei deputati il Movimento si è era espresso a favore ma ancora ieri, davanti alle telecamere di Lucia Annunziata su Rai 3, l’ex presidente del Consiglio ha confermato che al Senato i 5S voteranno contro. Un dietrofront che, probabilmente, alla vigilia del voto degli scritti ha lo scopo di riacciuffare la nutrita fronda di parlamentari che non sono in rotta di collisione con Vito Petrocelli. Il presidente della commissione Esteri del Senato, filo-putiniano, ha votato contro il decreto legge per il sostegno all’Ucraina e condannato la linea “interventista” dei suoi colleghi di partito. Ma la contraddizione è talmente marcata da mettere in difficoltà non solo il governo e Draghi ma, nel caso specifico, Lugi Di Maio, che per i pentastellati è ministro degli Esteri. Il ‘loro’ capo della diplomazia ha tutt’altro orientamento.

 

L’ondivago Giuseppe Conte, dunque, nell’intento di unire potrebbe ottenere l’effetto contrario e far deflagrare il malumore, nemmeno tanto sotterraneo, che alberga tra correnti. Quella filo-governativa che fa capo, appunto, al numero uno della Farnesina non ha gradito la mossa a sorpresa del leader, seppure in linea con la vicinanza ai russi più volte dimostrata dai suoi governi, quello gialloverde e poi quello giallorosso. Ma Conte così energico nel cambiare idea e tornare sui suoi passi non piace nemmeno a Draghi che, sull’aumento delle spese per gli armamenti, è pronto a porre la fiducia, visto l’impegno dell’Italia già assunto verso gli alleati. Alla fine è probabile che l’ex premier punti su un compromesso sapendo che aumentare i fondi per la difesa sarà in ogni caso graduale visti i miliardi che saranno necessari.

 

Resta però un dato: così facendo l’ex ‘avvocato del popolo’ si presenta come partner inaffidabile, anche agli occhi del Partito democratico. Enrico Letta, segretario dem, è un altro di quelli che non hanno gradito i proclami degli ultimi giorni. Conte è troppo intento a fare calcoli interni e poco interessato ai rapporti con il resto della maggioranza. Almeno fino al voto di stasera. Con la vittoria in tasca si sentirà sì rafforzato, ma conquistare la leadership dentro e fuori il Movimento è qualcosa di diverso.

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