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Elezioni amministrative

Domenica il voto nei comuni, ma la politica resta piena di incognite

Un test per coalizioni e leader di partito con lo sguardo rivolto al 2023. Fino ad allora contesto in evoluzione e congiunture esterne determinanti

Domenica il voto nei comuni, ma la politica resta piena di incognite

Una campagna elettorale non molto appassionante si chiude oggi in vista del voto amministrativo di domenica. Quando i cittadini di 978 comuni, di cui 26 capoluoghi - 16 governati dal centrodestra, 4 dal centrosinistra, 2 da liste civiche e 4 commissariati – si recheranno alle urne per eleggere sindaci e consiglieri. Il secondo turno, tra due settimane, è previsto solo per quelli con più di 15 mila abitanti.

 

Come dicevano, la campagna non è stata particolarmente avvincente, nemmeno quella per i quesiti referendari sulla giustizia, a onor del vero. C’è però un dato che potrà avere un peso sulla politica nazionale: le alleanze che si è riusciti a costruire sui territori sono il test più vicino alle elezioni politiche del 2023 di cui le varie formazioni politiche dispongono. Una sorta di prova generale per misurare la capacità di proseguire un percorso già iniziato o, in alcuni casi, di crearne di nuovi. Allo stesso tempo, alcune leadership potranno uscirne rafforzate, altre inevitabilmente e ulteriormente indebolite. 

 

Partiamo dalle strade già battute. Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Matteo Salvini della Lega hanno suggellato una sorta di pace apparente nel comizio di ieri a Verona. I due si sono abbracciati anche se, solo pochi giorni prima, lo scambio di accuse sulle elezioni del sindaco di Parma avevano riaperto platealmente fratture e dissapori. La vera posta in gioco per entrambi è la guida del centrodestra. Cosa ne sarà della coalizione di cui fa parte anche Berlusconi, da qui a sette o otto mesi quando saremo chiamati a rinnovare il Parlamento, è tutto da vedere. Tra le file leghiste, come tra quelle meloniane, si è ormai consolidata una diffidenza reciproca che sanare non sarà una passeggiata. Nell’altro schieramento il segretario Dem, Enrico Letta, ha portato a casa un certo numero di intese elettorali con i Cinque Stelle, ma nel suo partito non tutti sono d’accordo con la linea del ‘campo largo ad ogni costo’. Non solo perché la leadership in chiave anti-draghiana di Conte rappresenta una spina nel fianco del governo, che il Pd sostiene in maniera granitica, ma anche per via del fatto che le ultime mosse grilline sulla guerra hanno alimentato sospetti e sfiducia, almeno verso un blocco interno.

 

Intanto, tra le due alleanze attuali, esiste una serie di satelliti centristi che potrebbero schierarsi da una parte o dall’altra, se non decidere di unirsi e provare - non senza rischi - a prendere qualche parlamentare con l’attuale sistema elettorale, ma in quota proporzionale. Poche unità, probabilmente, che ne sancirebbero la limitata forza politica. Insomma Carlo Calenda, Matteo Renzi, Maurizio Lupi, Giovanni Toti dovranno decidere da qui a poco cosa fare da grandi, o almeno provarci.

 

In questo contesto, in continua evoluzione, la condizione economica del Paese avrà un peso sempre maggiore. Guerra, inflazione, prezzi delle materie prime, crescita in bilico, aumento dei tassi di interesse, richiederanno ancora per molto tempo una guida esperta, un timoniere in grado di mantenere la rotta della nave Italia. Ma tutto dipenderà dall’esito delle elezioni politiche. In ogni caso, di fronte ad una eventuale uscita di scena del premier Draghi, gli italiani avranno necessità di un leader parimenti autorevole, competente e affidabile. Tra quelli attuali chi ha questi requisiti?

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