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Vecchi e nuovi leader

Esito Amministrative 2022, nelle coalizioni nuovi equilibri cercasi

L’ultimo test elettorale prima del 2023 rafforza Fratelli d’Italia nel centrodestra e il Pd nel centrosinistra. Movimento 5S e Conte in caduta libera

Esito Amministrative 2022, nelle coalizioni nuovi equilibri cercasi

Il centrodestra si è presentato unito in 21 dei 26 capoluoghi dove si è votato per queste amministrative 2022. Il centrosinistra in 18. In linea di massima le alleanze tradizionali hanno tenuto - almeno nelle città maggiori - quanto ad accordi pre-elettorali e alla scelta dei candidati, ma quello che emerge dall’esito del primo turno è un quadro che non rafforza affatto le intese, tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra. Piuttosto, fa emergere la forza di singoli partiti che possono esercitare un effetto traino sugli altri portando in vetta la coalizione di appartenenza. A destra, come è evidente, a fare da volano è stato il partito di Giorgia Meloni che surclassa la Lega di Matteo Salvini spingendola al secondo posto. A sinistra è invece il Pd, agevolato da un Movimento Cinque Stelle in caduta libera.

 

Il centrodestra grazie a Fdi conquista subito l’Aquila, Genova, Palermo. I progressisti si confermano a Padova e Taranto e conquistano Lodi. A Verona e Parma si andrà al ballottaggio. Cosa cambia con il voto del 12 giugno? Semplicemente i rapporti di forza dei partiti all’interno delle coalizioni. Non è un caso che Forza Italia con Licia Ronzulli si affretti a dichiarare: “Giorgia ha vinto le amministrative ma la leadership non si decide ora”. Sì, perché se il centrodestra dovesse puntare adesso su un candidato per la guida del Paese dovrebbe scegliere la fondatrice del Partito di destra radicale, emerso qualche anno fa dalle ceneri di un’ala di Alleanza Nazionale, non certo il capo del Carroccio. Ai moderati l’idea non piace, come non garba all’area leghista di Forza Italia. D’altra parte Salvini non è tipo da fare il secondo.

 

Tuttavia, la sconfitta è tutta della sua leadership, non solo alle comunali, ma anche a causa della batosta presa con i referendum sulla giustizia votati da appena il 20 per cento degli aventi diritto. Un flop che peserà negli equilibri di via Bellerio dove, con ogni probabilità, una resa dei conti è già iniziata e il Capitano appare più in bilico che mai.

 

Cosa succede nel frattempo tra i progressisti? Accade che Enrico Letta consolida il radicamento nei territori dei suoi democratici. Ma allo stesso tempo deve prendere atto che l’alleato M5S ha esaurito ogni spinta propulsiva. I pentastellati cadono clamorosamente persino nella Genova dove sono nati, la città del fondatore Beppe Grillo, passando dal 18 al 4,4%. Un esempio emblematico di un Movimento moribondo che in queste condizioni porta al ‘campo largo’, che progetta il numero uno del Nazareno, un valore aggiunto molto ridimensionato, in termini programmatici e quanto a capacità di raccogliere consenso. Il ‘campo largo’, insomma, si restringe. Mentre la leadership di Giuseppe Conte nei Cinque Stelle si indebolisce ancora.

 

C’è poi un dato che emerge prepotente su tutti. Un cittadino su due non è andato a votare per scegliere gli amministratori dei propri comuni, delle proprie città. L’affluenza è precipitata clamorosamente e questo impone a tutti i partiti una riflessione approfondita. La disaffezione dalla politica può avere diverse cause ma di certo rappresenta una frattura tra rappresentati e rappresentanti, una caduta di fiducia dei primi nei confronti dei secondi. Questo non è mai un segnale positivo in un sistema democratico, piuttosto indice di una malattia che è bene evitare che diventi endemica.

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