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Affluenza crollata

Comunali, il partito dell’astensione che chiede di essere visto

Con i ballottaggi si chiude questa tornata elettorale. Centrosinistra stavolta vince, centrodestra in affanno. Ma la partecipazione al voto cala ancora

Comunali, il partito dell’astensione che chiede di essere visto

E’ senza dubbio una vittoria del centrosinistra ma anche di una strategia, quella del Nazareno, di seguire quasi ostinatamente le alleanze nel campo progressista ovunque sia stato possibile. I ballottaggi che si sono svolti in 65 comuni, di cui 13 capoluoghi, consegnano un quadro diverso rispetto al primo turno, ma anche una costante in peggioramento: l’astensione. Il 42,2 per cento degli aventi diritto non è andato a votare nonostante il fatto che le amministrative, per il radicamento dei candidati sui territori, abbiano generalmente un effetto incoraggiante sui cittadini. Non è stato così. Rispetto al primo turno di due settimane fa - quando l’affluenza si era attestata al 54, 11% - il dato è sceso ancora con punte più basse ad Alessandria (36,7%), Monza (36,1%) e Parma (39,1%). Segno di una disaffezione che conferma un trend su cui riflettere.

 

Ciò che va evidenziato è innanzitutto il persistere di vistose difficoltà della politica attuale a livello nazionale, che si riverberano sul piano locale. Nonostante il governo sia appoggiato da una maggioranza molto ampia, la frammentazione del quadro generale è più marcata di quanto si immagini. Un esempio: i rapporti altalenanti che caratterizzano i partiti del centrodestra negli ultimi anni, sfociati in una più netta separazione con la nascita del governo guidato da Mario Draghi, si sono ulteriormente sfilacciati nei mesi recenti. Il caso di Verona, che ha visto contrapposti due diversi candidati, il sindaco uscente Federico Sboarina e l’ex leghista, ora in quota Forza Italia Flavio Tosi, anche lui già sindaco della città, è emblematico. Il mancato accordo al secondo turno, come nelle previsioni, ha finito col favorire Damiano Tommasi, candidato civico ma sostenuto da Pd e Cinque Stelle.

 

Non che nel centrosinistra le cose vadano meglio, frammentazione ce n’è anche lì. I satelliti rappresentati dalle formazioni centriste con l’arrivo dei dimaiani sono in aumento e questo può disorientare ulteriormente l’elettore moderato ma riformista. In più, nel campo lettiano, inteso in senso più ampio, lo scenario si presenta estremamente fluido. Sia perché non è ancora chiaro il percorso di ciò che rimane del Movimento Cinque Stelle con leader Giuseppe Conte, sia perché le derive centriste rischiano di smuovere le acque soprattutto a sinistra. Il Pd di Enrico Letta non ne è al riparo.

 

L’unione fa la forza, recita il proverbio quanto mai valido in politica. Ma basta fare numero per coinvolgere i cittadini nel processo elettorale, per farli sentire- almeno nei comuni - parte di un insieme? Evidentemente no. Peraltro, l’aumento delle liste civiche nelle elezioni comunali, come accaduto anche in quelle regionali, sono il sintono che i partiti fanno fatica a mantenere l’unità al loro interno e che non riescono a veicolare un messaggio univoco e un programma forte da sostenere. Più liste civiche ci sono più è palese che i partiti sono fragili e incapaci di forza aggregante.

 

In questo frastagliato contesto politico, e in una fase storica in cui i problemi sono tanti e di una portata ben maggiore rispetto al periodo pre-pandemia, i cittadini cercano un punto di riferimento, qualcuno che si mostri affidabile. E l’affidabilità è sempre figlia della stabilità. Convincere metà dell’elettorato a tornare al voto richiederà molto di più di calcoli matematici e di apparentamenti elettorali.

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