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Presente e futuro

Crisi ucraina, a che punto è la politica di difesa comune dell’Ue

Iniziativa dell’Istituto Affari Internazionali su sicurezza e strategie di difesa di Bruxelles: tra cooperazione e integrazione, rapporti Ue e Nato

Crisi ucraina, a che punto è la politica di difesa comune dell’Ue

C’è una data, il 24 febbraio 2022, e ci sono un prima e un dopo. L’invasione russa dell’Ucraina e il ritorno nel cuore del Vecchio Continente di un conflitto convenzionale, che gli analisti definiscono di stampo novecentesco, ha riportato l’attenzione delle istituzioni di Bruxelles e dei singoli Stati membri su un tema centrale: la capacità di difesa europea e l’esistenza di una politica estera davvero comune

 

Otto mesi hanno cambiato la storia dei rapporti internazionali e gli equilibri geopolitici mondiali. A fronte di un indiscutibile rafforzamento del tripolio Usa, Cina, Russia nello scacchiere globale, l’Unione europea si è trovata a fare i conti con errori passati e con la mancata piena attuazione di alcuni principi dei Trattati, a partire da un coordinamento strutturato, in maniera permanente e durevole, su sicurezza e difesa. Un vecchio problema quello di “comunitarizzare” il settore. Dal Trattato che istitutiva nel 1952 la CED (Comunità Europea di Difesa) con un Commissariato investito del comando unificato delle forze armate degli Stati membri - fallito solo due anni dopo per il ‘no’ alla ratifica della Francia (il Paese che lo aveva proposto) - la strada della costruzione di una difesa europea è sempre stata in salita.  

 

Sono passati 68 anni. Il potere sovranazionale delle istituzioni di Bruxelles ha fatto passi avanti: la Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) è una delle parti più importanti della Politica estera e di sicurezza (PESC), ovvero di quello che nel Trattato di Maastricht costituiva il ‘secondo pilastro’ dell’Unione. Nel 2009, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha modificato molto dell’impostazione del 1992. E dal 2016 l’avvio della Cooperazione strutturata permanente (PESCO) ha segnato un ulteriore avanzamento in termini strategici. 

 

Ma l’attacco di Mosca contro Kiev e l’ideologia illiberale che guida l’azione di Vladimir Putin, contro le democrazie occidentali e in favore dei sistemi pseudodemocratici, hanno creato una pressione nuova. La minaccia, per il quadro complessivo in cui si dispiega, è inedita. Talmente forte da aver messo in luce le fragilità del modello di difesa dell’Unione, ma soprattutto la necessità di strutturare diversamente gli strumenti e gli istituti che sovrintendono alla sicurezza di 450 milioni di cittadini europei. Nello scenario attuale senza dubbio è essenziale il lavoro congiunto di Ue e Nato per garantire sicurezza e stabilità nel continente europeo, anche se ciascuno necessariamente con la propria autonomia strategica. Entrambi consapevoli di muoversi, pur con finalità comuni, da prospettive che possono non coincidere. Se le preoccupazioni dell’Unione Europea sono in prevalenza rivolte verso Mosca, Washington sembra più concentrata sul caso Taiwan e sui risvolti che la guerra economica e tecnologica con Pechino potrebbe avere. 

 

I problemi sul tavolo sono molteplici. Per compiere un salto di qualità Bruxelles e Stati membri dovrebbero agire seguendo più direzioni. Il programma Difesa dello Iai, Istituto Affari Internazionali, analizza da anni il processo di difesa europea, i suoi protagonisti e gli strumenti messi in campo. Nel corso della conferenza “Sicurezza e difesa europea, quo vadis?”, promossa in partnership con il Ministero degli Affari Esteri, si è fatto il punto su un quadro che potremmo definire ancora frastagliato ma in rapidissima evoluzione. Come ha sottolineato l’ambasciatore Marco Peronaci, rappresentante per l’Italia presso il Comitato politico e di sicurezza dell’Ue, la Bussola strategica (Strategic Compass), approvata lo scorso marzo sotto la presidenza francese e nel pieno della guerra ucraina, è un “passo importante. Pone le basi per costruire una cultura strategica comune, delinea uno scadenzario dettagliato di impegni, e ci proietta in avanti verso il sentiero di un’autentica difesa europea”.

 

Tuttavia, oggi più che mai, per portare a compimento il processo di difesa comune bisogna realizzare una serie di condizioni. In cima alla lista, per l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente IAI, ci sono “la capacità di attuare un’autentica politica estera comune, che presuppone a sua volta una condivisione delle minacce” e una “leale collaborazione con l’Alleanza atlantica”. C’è poi una terza conditio sine qua non. Si tratta della “forte determinazione dei Paesi membri”, perché “senza un’intesa, specie tra i principali protagonisti, è difficile che si riesca a fare progressi importanti”. Peraltro “proprio in questi giorni si stanno verificando tensioni nuove, non previste e non prevedibili, tra i due maggiori stakeholders in materia, che sono Francia e Germania”. 


Di fronte alla minaccia costante del Cremlino in chiave anti-Ue e anti-occidentale, il passaggio nelle istituzioni di Bruxelles ‘dalla cooperazione all’integrazione’ diventa quasi obbligato. Politica comune, pianificazione e investimenti diventano concetti ‘guida’ per adempiere e concretizzare i compiti di difesa. Il generale Claudio Graziano, oggi presidente del Cda di Fincantieri e per tre anni e mezzo a capo del Comitato militare dell’Ue, sollecita “il salto di qualità nei rapporti tra Stati membri e istituzioni Ue”. Parliamo però “dei tempi della storia e non di quelli della cronaca. L’adozione dello Strategic Compass rappresenta un passo impensabile solo dieci anni fa”. 

 

Serve un “disegno strategico comune per sapere cosa dobbiamo fare”, spiega Pasquale Ferrara, segretario generale dell’Istituto universitario europeo di Firenze. A monte della “difesa europea sostanziale c’è una politica estera coesa. Non stiamo parlando solo di difesa delle frontiere ma di sicurezza umana”. Il fil rouge è l’unità dei Ventisette, lo sviluppo dei processi decisionali in chiave di una “sovranità democratica”. Pietro Alighieri, senior adviser del Segretario generale della Difesa, non a caso sottolinea che “l’Europa disunita quando si deve confrontare con accadimenti complessi e dinamici perde spessore strategico”. C’è poi il tema “della capacità industriale e del livello tecnologico che sono fondamentali per avere uno strumenti di difesa efficaci ed efficienti”.

 

La Commissione europea di recente ha stanziato con l’European Defence Fund (EDF) circa 7 miliardi di euro per finanziare appalti e ricerca nel settore della difesa e dello spazio.  Un altro tassello per colmare le lacune esistenti. Ma la politica estera e di sicurezza comune, pur con gli aggiornamenti degli ultimi anni, aspetta ancora la svolta. E con la crisi ucraina la sveglia è suonata.   

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