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Ragioni e torti nella decisione del governo

Il Paese è stanco del Covid, che però resta anche se fa meno danni

Il liberi tutti poteva essere accompagnato da una campagna per la quarta dose di vaccino ai più fragili. Sbagliato il rientro in anticipo dei medici no vax

Il Paese è stanco del Covid, che però resta anche se fa meno danni

Ma chi ha ragione, il nuovo governo che vuole normalizzare il Covid o chi lo ha gestito negli ultimi tre anni, che vorrebbe continuare con le mascherine, i divieti e i medici no vax fuori dalle strutture sanitarie? Secondo me, torti e ragioni sono equamente suddivisi poichè entrambi gli schieramenti sono mossi da ragioni politico-ideologiche: oggi il virus, che circola comunque ampiamente, non è lo stesso di due anni fa poichè i vaccini ne hanno ridotto fortemente la pericolosità, quindi è giusto cambiare regole che palesemente si osservano poco (a parte le mascherine negli ospedali e nelle Asl) ma dare il segnale del liberi tutti è altrettanto sbagliato. Chi invece attacca la deregulation, dai virologi ai consulenti dei passati esecutivi, segnala legittimamente un rischio, ma difende anche il potere enorme che ha avuto durante la pandemia e che fa fatica ad abbandonare. Entrambe le opposte fazioni si nascondono dietro la scienza, ma sappiamo benissimo che essa può venire manipolata, usata da una parte e dall’altra. Va anche detto che dell’intenzione di varare il “liberi tutti” del Covid la coalizione che oggi esprime il governo non ne aveva parlato in campagna elettorale, quando tutti i partiti avevano evitato accuratamente di occuparsi dei problemi della sanità.

 

Tuttavia, per farsi un giudizio equilibrato su scelte che ci riguardano tutti da vicino, occorre prima di tutto ripercorrere la storia di questi quasi tre anni e rivederla al rallentatore per capire errori, omissioni, eroismi (già dimenticati), forzature, la mobilitazione organizzativa importante (molto buona nel Lazio) per i vaccini e tutto quanto abbiamo vissuto sinora, e anche la quarta dose per gli ultra sessantenni che stenta a decollare. E, prima di ogni altra cosa, rendere omaggio ad una generazione intera di anziani che del virus è rimasta vittima in un colpo solo, un’autentica decimazione di vite e di affetti: non dimentichiamo che l’Italia ha avuto in proporzione alla popolazione più vittime di ogni altra nazione nel mondo, e questo significa che non tutto è stato gestito bene, anche se abbiamo pagato lo scotto di essere il primo paese europeo ad essere seriamente colpito. 

 

Come tutti sappiamo, il Covid ha avuto l’epicentro in Lombardia: abbiamo ancora negli occhi le bare sui camion militari a Bergamo, Milano abbandonata dove gli unici padroni delle strade erano i rider che portavano il cibo a casa, il paradosso della sanità privata del modello lombardo che non si occupava del virus, la sanità pubblica a rischio collasso, le bombe infettive nelle residenze per anziani e l’errore di far sapere in anticipo da parte del governo Conte il 7 marzo 2020 che 24 ore dopo nessuno avrebbe più potuto lasciare la regione Lombardia. Infatti tutti quelli che potevano farlo scapparono via, portando con sè (chi li aveva) i germi dell’infezione. Ciononostante, nel resto d’Italia la prima ondata fu molto debole ma il governo mise in lockdown tutto il paese: a piazza Navona a Roma crebbe l’erba tra i sampietrini, giocammo tutti ai reclusi, terrorizzati da quel che accadeva in Lombardia e pure divertiti dai famigerati Dpcm, i decreti del presidente del Consiglio che disciplinavano le nostre vite fino a indicare gli “affetti stabili” che potevamo eccezionalmente raggiungere in caso di necessità. E aspettavamo le conferenze stampa per illustrare i Dcpm, ritardate fino a notte per far salire l’audience sugli account Facebook dell’allora premier.

 

Nell’estate del 2020 il governo Conte pensa di aver risolto tutto, si dedica a vacui Stati generali, inventa i banchi a rotelle per le scuole e le primule per i centri di vaccinazione: sono queste purtroppo le immagini che ci restano nella memoria di un periodo di apparente tregua dal virus che poteva essere sfruttato ben diversamente, e mi astengo qui dal commentare gli eventuali episodi di corruzione nell’approvvigionamento delle mascherine o nella gestione della ingente spesa pubblica straordinaria giustificata dall’emergenza Covid. Comunque sei mesi persi, finchè non si mette in moto la macchina politica per la sostituzione di Conte, che era già  in bilico all’inizio del 2020 e che proprio grazie alla pandemia era rimasto in sella, con Mario Draghi, cui si deve la forte accelerazione nelle vaccinazioni e, dunque, la situazione attuale di relativa tranquillità. 

 

Un altro passaggio fondamentale da sottolineare per avere un giudizio sulle scelte di oggi è quello della copertura mediatica del virus: giornali, tv e web non si sono occupati d’altro per la quasi totalità delle loro pagine e del loro tempo per due anni, scandendo l’emergenza anche dove non c’era, secondando, salvo rare eccezioni, anche il clima da caccia alle streghe su green pass e no vax. Intendiamoci, a scanso di equivoci: i vaccini e soltanto i vaccini ci consentono oggi di discutere con relativa tranquillità di tutto, il green pass è stato uno strumento utile, non vaccinati e di conseguenza no green pass dovevano avere limiti soltanto se e come potevano danneggiare gli altri.

 

Ma la controprova di un ruolo eccessivo dei media non si ritrova soltanto nella abnorme crescita di popolarità, e dunque di ruolo pubblico, dei virologi (Crisanti è anche diventato senatore), ma nel fatto che appena scoppia la guerra in Ucraina a seguito dell’aggressione della Russia di Putin il Covid sparisce in un colpo solo, senza se e senza ma, dai giornali e dalle televisioni. E’ vero ovviamente che la notizia nuova (e che notizia, la prima guerra in Europa dopo decenni) scaccia quella vecchia, ma la cosa rivela anche la drammatizzazione eccessiva che ne era stata fatta, cosa di cui eravamo tutti stanchi.

 

La forte ripresa del turismo è uno dei sintomi della stanchezza da Covid, e la decisione del governo asseconda la voglia e la necessità del ritorno alla normalità, cui contribuisce anche il timore di sviluppi ancora più negativi della situazione internazionale. Credo che sarebbe stato utile e comunicativamente più efficace accompagnare le misure di apertura con la raccomandazione a usare le mascherine nei luoghi affollati e lasciare alla decisione dei medici l’uso delle stesse negli ospedali e nei luoghi di cura, avvertendo semplicemente che il virus, per quanto depotenziato, resta tra di noi e fa danni, i cui effetti negli anni ancora non riusciamo a capire. Non dimentichiamo che fino a giugno ci hanno ossessionato con l’uso obbligatorio della mascherina, senza però dirci più di lavarci le mani, regola numero uno di igiene. Contemporaneamente, il ministro Schillaci avrebbe dovuto rilanciare la quarta vaccinazione per i più fragili e avviare una massiccia campagna per il vaccino contro l’influenza. In generale, andrebbero ricordate (ma senza imposizione) anche le regole di una giusta prevenzione e di una sacrosanta epidemiologia: quindi, continuare a dare tutta l’informazione utile, poi è il cittadino che decide come comportarsi.

 

Resta il nodo più delicato, quello del rientro dei medici e odontoiatri no vax. Non si tratta per fortuna di un fenomeno enorme: secondo la Federazione degli Ordini inizialmente erano circa duemila (poi 474 ci hanno ripensato e si sono vaccinati) su 460 mila iscritti agli Ordini professionali i colleghi sospesi per non essersi vaccinati. Altre stime si attestano sui 4 mila. Ma qui non possono esserci dubbi, noi tutti come medici abbiamo giurato: primum non ledere, e se poi consideriamo che gli Ordini professionali della nostra categoria ti radiano se solo ti vedono mettere le dita nel naso al semaforo, ed evidentemente non per una questione di bon ton, allora la risposta è chiara e l’errore del governo pure. Come sempre, anche sul Covid l’equilibrio che tende al preoccupato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella può fare da bussola.

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