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Cosa si muove in politica

Calenda e Renzi, il loro Terzo Polo è molto di più: è Terzo incomodo

Sul dialogo con Meloni la strategia sottile di Azione e Italia Viva. Ogni giorno l’ex ministro e l’ex premier provano a conquistare una casella al centro

Calenda e Renzi, il loro Terzo Polo è molto di più: è Terzo incomodo

Azione nasce come un partito liberale. Non stupisce, quindi, il suo intento di strappare voti anche a Forza Italia. Certo, dopo la mano tesa di Carlo Calenda sulla manovra di Bilancio di Giorgia Meloni, e dopo l’incontro tra i due sul disegno di legge appena approdato in Parlamento, tutto è ancora più chiaro. Rebus sic stantibus quello di Calenda e di Matteo Renzi (Italia Viva è in tandem con il partito dell’ex ministro dello Sviluppo economico) più che un Terzo Polo è un Terzo incomodo, tanto per il centrodestra quanto per il centrosinistra. Lapalissiano. Calenda fin dall’esordio di Azione ha puntato a erodere voti un po’ di là e un po’ di qua, per configurarsi man mano come unica forza centrista del Paese e lasciando alle estremità destra e sinistra. E’ un’operazione a tutto campo che, se dovesse andare a buon fine, col tempo potrebbe modificare l’assetto politico del Paese, almeno come lo abbiamo conosciuto in quasi trent’anni. Anche se è difficile dire ora se un progetto così ambizioso possa realizzarsi. 

 

A seguito di Tangentopoli e dopo la diaspora dei primi anni novanta, i partiti di destra e di sinistra hanno avuto la loro chance di sopravvivenza grazie ad intese con ciò che restava di democristiani, repubblicani, liberali, socialisti craxiani.  Il moderatismo di Silvio Berlusconi fece da collante a destra. E consentì ad alcune forze politiche, ancora molto radicalizzate, non solo di avviare una trasformazione interna - la svolta di Fiuggi sancì il passaggio di una parte dei post-fascisti in Alleanza Nazionale - ma anche di permettere la nascita di un centrodestra che potesse realmente aspirare al governo del Paese. Anche la Lega di Umberto Bossi beneficiò del volto iperliberista del fondatore dell’allora Fininvest. Quel blocco politico, pur con le fibrillazioni che si originarono già dal primo governo Berlusconi del 1994, ha retto a lungo. Almeno fino a quando i rapporti di forza non sono cambiati del tutto con il voto del 25 settembre scorso.

 

A sinistra lo scenario è diverso ma il risultato non cambia. I movimentisti dei Cinque Stelle hanno capito benissimo cosa sta accadendo. Giuseppe Conte sposta ogni giorno di più la linea politica verso un progressismo di sinistra, convinto che la radicalità delle posizioni in senso pacifista e ambientalista, pagherà ancora in termini di consenso elettorale. Ma più il M5S va a sinistra, più il Pd è costretto ad inseguire. Al Nazareno, a furia però di tirare la coperta da quella parte, si sta finendo per lasciare scoperto il fronte centrista di stampo riformista. Per capirci, quel pezzo democratico cristiano che prima era Margherita e poi si è fuso sulla carta con i Ds.  La battaglia congressuale del Pd si gioca su questo punto essenziale. Calenda lo sa, come sa che a destra si è già consumato quello che per i dem è un rischio in agguato. Dunque Meloni è leader di una destra-centro e per questo è destinata a scontentare i moderati.

 

La strategia di Calenda e Renzi è di provare ogni giorno a spostare una casella. L’incontro del leader di Azione con Meloni ha fatto arrabbiare parecchio la componente centrista degli altri due poli, anche se per ragioni non perfettamente coincidenti. Di mezzo non c’è solo la legge di Stabilità, ma le nomine alla presidenza del Copasir e della Commissione di Vigilanza Rai. I presidenti spettano all’opposizione. L’accordo con la maggioranza è decisivo e sulla Vigilanza il Terzo Polo non è disposto a tirare i remi in barca per lasciare tutto lo spazio a Pd e M5S. Non dimentichiamo che il presidente del Senato, Ignazio La Russa, è stato eletto un mese fa senza i voti di Forza Italia. In soccorso del candidato di Fratelli d’Italia hanno votato diciotto senatori della minoranza. Tutti hanno puntato il dito contro Renzi e adesso si parla di Maria Elena Boschi, tra i fedelissimi dell’ex premier, alla guida della commissione di Palazzo San Macuto. 

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