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I rischi dell’economia

Salgono gli occupati ma l’inflazione è ancora a livelli troppo alti

L’Istat certifica un balzo dell’occupazione come non si registrava dal 1977. Un buon segnale ma da leggere in un contesto ancora complicato e fragile

Salgono gli occupati ma l’inflazione è ancora a livelli troppo alti

I segnali che arrivano in Italia sul fronte dell’occupazione fanno sperare ma non bastano. L’Istat certifica un record ad ottobre di quest’anno che non si registrava dal 1977. Fa sapere l’Istituto di Statistica che nel mese scorso l’occupazione è salita al 60,5%. In sostanza, abbiamo avuto 82mila occupati in più su base mensile, +496mila su base annua. Il tasso di disoccupazione totale scende al 7,8% (corrisponde a -0,1 punti) e quello giovanile cala al 23,9% (-0,2 punti). Buone notizie, dunque, che si aggiungono ad un altro dato: l’inflazione a novembre ha subito una battuta di arresto e si attesta all’11,8%, anche se nel resto d’Europa il caro prezzi va verso una flessione maggiore. Numeri positivi, dicevamo, ma da non sopravvalutare. Sia perché non è detto che il balzo inflativo abbia raggiunto il suo punto più alto, sia perché il problema principale per l’inflazione europea resta il caro energia

 

In questi giorni sulla piazza di Amsterdam si conferma ancora una forte oscillazione del prezzo del gas, salito in 72 ore del 24%. Quanto agli stoccaggi, con l’inizio della stagione invernale, cominciano a scendere per ovvie ragioni. In questo scenario sono d’obbligo due riflessioni. La prima: l’inflazione, in ogni caso, continua a restare su livelli altissimi con forti ripercussioni sul potere di spesa delle famiglie a basso o medio reddito. La seconda: più occupazione non crea, con una sorta di automatismo, più ricchezza sociale se i cittadini sono oberati da prezzi che accelerano: dei beni energetici regolamentati a quelli alimentari lavorati. 

 

Il fenomeno è sotto la lente di ingrandimento degli istituti nazionali e delle Banche centrali, che sono poi quelle che decidono la politica monetaria con l’obiettivo di stabilizzare i prezzi. Ebbene, sappiamo che le scelte messe in campo vanno adesso nella direzione di politiche restrittive in cui i si alzano i tassi di interesse e diminuisce la quantità di moneta, due fattori che non facilitano gli investimenti, né i consumi. L’obiettivo è di portare l’inflazione al 2%. Ma ci sono rischi quando si cambia rotta rispetto a politiche espansive, come quelle che abbiamo avuto (ad esempio) per tutto il periodo pandemico. 

 

Tutte le Banche centrali occidentali convergono, tuttavia, sull’idea che si tratti dell’unica strada tecnicamente in grado di abbassare la fiammata dell’inflazione. Per l’Istat: “Se nei prossimi mesi continuasse la discesa del prezzo del gas”, che comunque sta a livelli ben diversi dai 300 euro a megawattora di agosto, “e di altre materie prime, l’inflazione potrebbe iniziare a ritirarsi”. Non è questione da poco. L’accesso alle materie prime, la loro produzione e la vendita resta un dossier cruciale per l’economia globale, su cui si sta giocando il potere delle maggiori economie sul piano internazionale, ovvero Usa e Cina.

 

L’Europa non è in una posizione semplice perché la sua fragilità in questo momento sta proprio nella forte dipendenza dalle forniture energetiche estere. La guerra-russo ucraina ha aperto gli occhi agli Stati membri, ma non è comprando gas naturale liquefatto dagli Stati uniti o aumentando le commesse con altri Paesi che si risolve il problema, né si potenziano le produzioni interne.  

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