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Appuntamento con la stampa

La versione soft di Meloni, cosa c’era da aspettarsi e cosa è cambiato

Conferenza stampa di fine anno, la prima della premier. Rispettati copione e narrativa della destra di governo, ma l’approccio comunicativo è diverso

La versione soft di Meloni, cosa c’era da aspettarsi e cosa è cambiato

Dunque, possiamo affermare che per quanto riguarda i contenuti non c’è nulla di particolarmente sorprendente nella conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio. Le parole di Giorgia Meloni, infatti, non lasciano trasparire niente di diverso rispetto a quanto ci si sarebbe aspettati dalla fondatrice di Fratelli d’Italia, che oggi guida un governo di destra-centro. Il suo è un esecutivo politico che rivendica una propria connotazione, anche per le scelte operate nella legge di Bilancio, approvata non a caso nel giorno del consueto appuntamento annuale degli inquilini di Palazzo Chigi con i giornalisti. La premier parla di una manovra “fatta” (appunto) “di scelte politiche”, che l’opposizione giudica “inadeguata” ma che lei difende: “mantiene gli impegni presi”. Eppure qualcosa è cambiato: l’atteggiamento è più rassicurante, i toni più pacati e concilianti di quanto non fossero lo scorso 22 novembre, quando fu presentato il ddl Bilancio appena approvato in Consiglio dei ministri. Il messaggio è incoraggiante anche sull’unità della coalizione: “Il clima è positivo, mi fido dei miei alleati”, dice guardando a un orizzonte temporale di cinque anni. 

 

Copione e narrativa della destra di governo vengono, in sostanza, rispettati in toto. A chi chiede conto delle recenti dichiarazioni del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e della sottosegretaria, Isabella Rauti, a proposito del Movimento Sociale italiano, (domanda che non poteva non aspettarsi), Meloni risponde difendendo il postfascismo: “Il Msi ha avuto un ruolo importante nella storia di questa nazione”. Con nonchalance e pervicacia continua un’opera costante legittimazione della destra ultranazionalista post bellica.   Anche sul Covid non rinnega l’avversione per le modalità di intervento decise durante la pandemia dai governi Conte e Draghi e strizza l’occhio ai no-vax: “Sì ai controlli e ai test, no alle coercizioni”.

 

Il riferimento non può che essere all’obbligo vaccinale. Poi affronta un altro tema che per il suo governo rappresenta una priorità, ovvero il presidenzialismo. Una riforma su cui insigni costituzionalisti manifestano non poche perplessità. Perché andare a toccare le previsioni della Carta in materia di elezione e poteri del capo dello Stato implica, a catena, una serie di aggiustamenti, in assenza dei quali si rischia di ‘smantellare’ l’equilibrio che i padri costituenti hanno garantito nel rapporto tra potere politico e istituzioni. In ogni caso, una commissione Bicamerale potrebbe essere uno strumento possibile, “se utile e non dilatorio”.

 

Meloni è più cauta, usa le parole con attenzione, le sue buone capacità di comunicazione verbale sono messe in campo anche quando, volutamente o no, le risposte non entrano troppo nel merito. C’è però una cura nuova della comunicazione paraverbale (il modo con cui parla) e di quella non verbale, per intenderci il linguaggio del corpo. Meloni ringrazia ad ogni domanda, vuole entrare in connessione con gli interlocutori. Ma ciò che le preme di più è comunicare con chi la guarda da casa, con i cittadini. C’è meno impeto, è più moderata, la postura è di apertura. Anche il paragone con Draghi smette di essere un tabù

 

L’eredità dell’ex numero uno del governo e della Banca Centrale Europea ha il suo peso ma sostiene che confrontarsi con chi l’ha preceduta le fa piacere: “Misurarmi con persone capaci ed autorevoli è stata la sfida di tutta la mia vita”. Meno sicumera e più modestia: è la versione attuale di una Meloni less aggressive.

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