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La prevalenza degli anziani e la natalità declinante

L’Italia senza culle è un problema sociale, non solo economico

La prossima legge di bilancio potrebbe prevedere una sorta di “reddito d’infanzia” ma contano anche fluidità, identità femminile e bassa fecondità

L’Italia senza culle è un problema sociale, non solo economico

Articolo di Di Rocco Rago e Teresa Cocchiaro -  Inutile girarci intorno: siamo sempre più vecchi: l’Italia è in declino demografico, inutile riportare numeri e fare previsioni sul futuro. E ci dobbiamo seriamente preoccupare. Demograficamente parlando, siamo un Paese dal futuro incerto. Partiamo dall’ Europa, i dati della Commissione della comunità europea ci dicono che nel 2004 un europeo su sei aveva oltre 65 anni; nel 2050 un europeo su tre avrà superato i 65 anni. L'avvenire non è certo roseo per il nostro continente, guarda caso soprannominato "vecchio", perché analizzando il dato europeo si scopre che tutto sommato siamo in buona compagnia. In Italia va peggio: secondo l’Istat, non si arresta il calo delle nascite. Diamo dunque per conosciuti i dati, perchè solo a rileggerli vengono i brividi.

 

Sul banco degli imputati ci sono ovviamente la crisi economica, il lavoro precario e le scarse politiche per la famiglia e questo comporta una prolungata permanenza dei giovani nelle famiglie d’origine e il protrarsi dei tempi dello studio e della formazione e di conseguenza un ritardo nel mondo del lavoro. In altre parole, una questione di soldi. Si sa, quando la famiglia cresce il portafoglio si restringe. Al mutuo si aggiungono i pannolini, la babysitter, la scuola, lo sport, le vacanze. Il governo Meloni sta pensando di inserire nella manovra una serie di sostegni ed aiuti da destinare ai genitori che vogliono avere figli. Il governo, ha dichiarato che potrebbe arrivare nel 2024 il bonus secondo figlio, magari inserendo nella prossima legge di bilancio il “Reddito d’infanzia” a sostegno delle famiglie numerose. Confidiamo che queste proposte, in fase di definizione, possano essere davvero approvate in modo che le famiglie possano avere una speranza e non rinunciare per motivi prettamente economici al sogno di avere uno o più figli. 

 

Ma non si può pensare di ricondurre tutto alle possibilità economiche. Desiderare un figlio è soprattutto un gesto d'amore e di progettualità condivisa. E richiede uno sforzo e un sacrificio non da poco. Un aspetto importante da considerare è anche la fragilità dei legami che si ci ritrova a vivere. Oggi si parla molto di amore liquido, un concetto portato alla luce da Zygmunt Bauman, sociologo di fama internazionale, che esplora e mette in evidenza la fragilità dei vincoli affettivi. Amare una persona, condividere una parte del proprio mondo con l’ altro, costruire un noi implica prima di tutto amarsi, rispettarsi e questo richiede una grande dose di amor proprio. Siamo sicuri che può essere tutto racchiuso ad un aspetto economico? Quanto conta anche la mancanza di autostima e di auto- valutazione che ci porta a perdere gli altri e anche noi stessi? In questo clima di vulnerabilità e d’ incertezza diventa difficile avere un progetto di coppia e di figli. Non è allora per caso che siamo diventati oltre che più vecchi anche più egoisti, più tristi come individui? Un figlio è per sempre, è un progetto di vita, che in questa società fragile spaventa. 

 

Partiamo anche dal presupposto di altri dati oggettivi: la nostra società è organizzata con delle rigidità che non rispondono più alla situazione reale. Non esiste più, e per fortuna, il modello della donna anni ‘50 tutta dedita alla casa, al marito e ai figli. È consuetudine oggi che all’interno di un nucleo familiare entrambi ì componenti siano impegnati nella rispettive attività lavorative. Ma permangono radicati alcuni elementi di una società ancorata al modello patriarcale. In Italia, la rivoluzione di genere partita dalla maggiore istruzione femminile si è in parte cristallizzata: la società non si è adattata alle madri lavoratrici né dentro le famiglie, né dentro il mercato del lavoro, e uno dei risultati è, appunto, una bassissima fecondità permanente. Basti pensare alla vita delle donne normali, quelle che fanno i turni con stipendi medio bassi e non hanno nonni sui quali contare. Come possono organizzarsi? Certo è colpa della crisi, della mancanza di servizi, degli stipendi bassi, della conciliazione impossibile tra casa e lavoro. Tutto giusto. Ma è davvero tutto? Crescere un figlio oggi è un’impresa non banale. Alla gioia di metterlo al mondo e di realizzarsi come genitori, corrispondono anche molteplici paure: non essere buoni genitori, non potergli pagare gli studi o dargli un buon futuro e non ultimo le rinunce personali alla propria libertà individuale.

 

Come sappiamo, la crescita dell’individuo non riguarda soltanto l’aspetto fisico, ma anche una maturazione del suo aspetto psicologico. Alla capacità dataci dalla natura di procreare dovrebbe corrispondere, a livello mentale, la capacità di pensare e di concepire l’idea di un bambino. L’idea di bambino, se non si trasforma nell’idea di un figlio, vuol altresì dire che ad attendere il nuovo nato, non ci sono due genitori bensì due individui, distinti e separati, impreparati a gestire il cambiamento. Non è facile crescere e abbandonare i privilegi di un’adolescenza, ormai diventata cronica. Spesso si rimane figli ben oltre l’età adulta. Crescere comporta un’identificazione con coloro che dovrebbero essere gli adulti, in assenza di tali figure non può esserci alcuna crescita psicologica. Spesso il vissuto delle persone non aiuta: famiglie disfunzionali con genitori violenti o assenti, oppure, al contrario, iperprotettivi e permissivi, non rendono desiderabile l’età adulta. Un bambino che non si è pensato come fonte di gioia per i genitori, non potrà mai in futuro mettere al centro della propria esistenza un figlio che lo rappresenti. Anzi l’idea di un figlio gli risveglierà tutte le paure e le limitazioni cui andrebbe incontro. L’assenza di bambini in una coppia può indicare la difficoltà dei membri di una coppia a identificarsi con i rispettivi genitori nei loro ruoli genitoriali. Bisogna altresì attribuire un peso adeguato alle precarietà della coppia. La sessualità non ha più da un pezzo, un fine riproduttivo. E anche se l’orologio biologico a un certo punto si fa sentire, le donne sono molto esigenti, soprattutto per avviare un progetto importante e definitivo come quello di un figlio. È cambiato il modo di stare insieme. Si tende ad aumentare a dismisura il tempo della gioventù e del disimpegno,concentrandosi maggiormente sui propri desideri individuali. Aumentano le “non coppie”, formate da chi ancora vive in famiglia a causa della precarietà professionale, o anche per scelta personale e che, quando esce, lo fanno per inseguire spesso un progetto di vita individuale.

 

Non conta poco infine, nel calo delle nascite, la ridefinizione dell’identità femminile. Intanto, comincia a dichiararsi in modo consapevole chi non vuole avere figli. Semplicemente il figlio può non rientrare in un progetto di vita e dedicarsi maggiormente alla propria libertà e autonomia. Dobbiamo pensare alla possibilità di avere figli come a un desiderio. E poiché si tratta di un desiderio, ognuno deve vivere il proprio desiderio. Per questo è giusto parlare di diritto e non di dovere: tutti abbiamo il diritto di avere figli e di creare una famiglia, ma senza che questo diventi un obbligo. Non tutti hanno la capacità mentale di crescere i figli, anche se non ci sono le caratteristiche tipiche di un padre, c'è la possibilità di non avere questo desiderio. Quando sentiamo la pressione sociale, quando sentiamo di non essere accettati e di non rientrare in un determinato modello, dobbiamo ricordare che non siamo tutti uguali. La diversità è una risorsa e in un mondo che ha appena raggiunto gli otto miliardi di persone non abbiamo bisogno di genitori forzati, ma di persone che abbiano la capacità e la possibilità di scegliere ciò che è meglio per loro stessi. La maternità è oggetto di una profonda riflessione, che implica anche cambiamenti profondi del proprio corpo, il desiderio è talvolta non così imperioso da essere portato a termine, ma oggetto di valutazioni di opportunità temporali, sentimentali, lavorative, abitative, psicologiche. Le istanze di realizzazione professionale sono molto forti, si posticipa la maternità finché non ci si ritrova a constatare che le cose sono andate in un altro modo. Anche quando la coppia c’è, la stabilità economica pure, si tende a posticipare. Il tempo, però, non smette di passare, i tassi di infertilità toccano il 25% delle coppie e le liste di attesa per la procreazione assistita passano dai sei mesi ad un anno. Il contributo più importante per far ripartire la natalità deve venire dunque dalla politica, che deve migliorare le condizioni esterne che permettono poi alla coppia consapevole di maturare e gestire il progetto di un figlio. E di non avere alibi.

 

** Autori **

Di Rocco Rago, biografia breve

Direttore del Dipartimento Malattie  di Genere della Genitorialità del Bambino e dell'Adolescente della ASL Roma 2. Nasce in Calabria 58 fa e come tanti  ragazzi del Sud lascia la sua terra e  si trasferisce a Roma per studiare Medicina.  Specialista in endocrinologia e andrologia, da sempre si è occupato di Infertilità di Coppia ed oggi dirige il Centro di Sterilità e Biobanca Ovociti dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma. Docente presso la Facoltà di Medicina in inglese dell’Università Cattolica di Roma  e la Scuola di Specializzazione in Ginecologia dell’Università di Tor Vergata, ha come hobby la cucina, la cultura del vino e il mare. Sposato con Antonella, anch’ella medico, ha due figli e crede fermamente nel valore della famiglia, anche per non avere complicazioni. Non è proprio uno sportivo, ma non disdegna la partitina di calcetto con gli amici. Autore di pubblicazioni scientifiche ed esperto in management sanitario. Appassionato di politica non è fra quelli che cavalcano il solito slogan “la politica fuori dalla Sanità” ma ritiene che la buona politica si debba occupare di più ed in maniera programmatica di sanità educando i cittadini (e la stessa classe dirigente) al buon uso del servizio sanitario nazionale. Perché una buona politica  sanitaria  genera  “salute sociale” e dunque crescita economica del Paese.

 

Teresa Cocchiaro, biografia breve

Dirigente psicologo presso il Dipartimento Malattie di Genere della Genitorialità del bambino e dell’adolescente della ASL Roma 2. Sin da piccola, ha mostrato interesse per la mente umana,per la realizzazione di se stessa, e una predisposizione nel comprendere, capire e nell’andare oltre l’ovvio. Dotata di una sensibilità particolare, una capacità di tener conto dei sentimenti altrui, di soppesare i diversi aspetti delle decisioni, di prestare attenzione al minimo dettaglio la rendono ben inserita in contesti amicali e di gruppo. L’indole introspettiva e riflessiva, l’interesse per il mondo psicologico proprio e altrui, e, forse, l’aver vissuto delle situazioni di sofferenza, la orientano ad intraprendere il corso di studi in Psicologia a Roma. Dopo la laurea, conseguita all’ Università “La Sapienza” si specializza in Psicoterapia Sistemico Familiare e in Ipnosi. Successivamente si specializza in Sessuologia clinica e in EMDR. Autrice di varie pubblicazioni scientifiche, da sempre ha mostrato interesse per la ricerca coniugata alla clinica. Amante dello sport, del buon cibo e dei bei viaggi quando può si ricava del tempo libero per se stessa e per le sue amicizie. Accanita lettrice di thriller psicologici, la si vede spesso con un libro in mano. La lettura, è un viaggio, alla fine del viaggio non c’ è rivoluzione ma evoluzione. Una delle frasi che ripete più spesso. 

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