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Cronache terrestri

Per convivere con il virus: più verità e fatti. Sanità da attrezzare

Il Paese è consapevole della difficoltà enorme di tenere insieme salute, economia e disagio sociale. Ma chi decide non può più permettersi di sbagliare

Per convivere con il virus: più verità e fatti. Sanità da attrezzare

Il governo ha dichiarato la chiusura parziale. Ma l’Italia, salvo qualche gruppo di svalvolati, l’aveva anticipata. I luoghi di lavoro si svuotano non solo per il cosiddetto smart working ma anche per le sanificazioni che seguono alle positività, i ristoranti non hanno clienti ben prima dell’ora del coprifuoco e già da quando contagi e tamponi hanno preso a salire. Milano è tornata in affanno dopo qualche settimana di quasi normalità in coincidenza con il ritorno a scuola, e comunque di Fiere ed eventi nemmeno a parlarne visto che i buyer dall’estero non possono venire e le aziende stanno provando ad ingegnarsi col digitale, come ha già fatto la moda. Roma, priva di turisti (sia pure low cost) e degli statali che stanno a casa, boccheggia. Anche i parlamentari, dopo i primi contagiati, latitano o si fanno furtivamente i tamponi a responso quasi immediato perchè il presidente della Camera, il grillino Fico, non vuole dare l’idea che siano privilegiati mentre il popolo fa ore di fila nei drive in, dimenticando che concederemmo volentieri qualche privilegio se i nostri rappresentanti politici fossero all’altezza della situazione. Napoli l’abbiamo vista nell’impasto di rabbia magari genuina dell’esercito dei sommersi e organizzazioni malavitose, da stroncare sul nascere, che hanno gestito la rivolta notturna. Il dilemma non è più solo tra salute ed economia ma si affaccia un terzo incomodo, l’ordine pubblico, sabato notte anche a Roma. I virologi impazzano in tv e sui giornali senza aggiungere nulla che non sappiamo, le terapie intensive e i pronto soccorso degli ospedali rischiano di nuovo  l’intasamento. 

 

L’Italia è in chiusura per la legittima paura del virus da parte di tutti noi, accoppiata stavolta alla comune consapevolezza che poco o niente il governo ha fatto da maggio a oggi, tra Stati generali-passerella inutile, task force accantonate, peana continui alla valanga di soldi che secondo la narrazione estiva sarebbero dovuti essere già in arrivo dall’Europa, surreale dibattito su Mes sì-Mes no, con l’incredibile vetta di tragico umorismo quando i ministri competenti dicevano che il risparmio sugli interessi sarebbe stato solo di 200-300 milioni di euro, dimenticando che pochi mesi prima ne avevano spesi altrettanto per il referendum che ha mutilato il Parlamento e che fa risparmiare ogni anno appena 50 milioni. In ogni caso, Mes o non Mes, le terapie intensive non sono state potenziate a sufficienza, la medicina di prossimità non c’è, medici e infermieri non potevano essere inventati di colpo, di Immuni meglio non parlarne. E le promesse di vaccino a Natale meglio non farle.

 

Giustamente, si fanno i confronti con la terribile primavera e ci si conforta a vicenda con l’attuale alto numero di tamponi e di asintomatici, dimenticando che oggi il virus ha coperto tutto il Paese, mentre in primavera aveva aggredito con violenza solo Lombardia e Veneto. La grande differenza, visto che del virus e del modo di curarlo sappiamo poco di più, è nell’atteggiamento degli italiani verso chi decide, e non fa distinzioni tra governo centrale e regioni. Abbiamo perdonato a Giuseppe Conte molto, dagli “affetti stabili” alla pervicace volontà di fare tutto da solo, perchè ci trovavamo di fronte ad un nemico sconosciuto che colpiva (quasi) all’improvviso. Abbiamo riempito di voti alcuni governatori e già oggi stiamo per ripudiarli, mentre la preoccupazione enorme di tutti noi si vede nel fatto che non abbiamo più voglia di scherzare, meno che mai di cantare sui balconi. E nemmeno di essere indulgenti verso chi qualcosa poteva fare e non l’ha fatto, vedi il ministro Speranza che ritira dalle librerie il volumetto dove dichiarava sconfitto il virus: se ce ne fosse stato bisogno, questa autodichiarazione di non aver capito nulla basta e avanza. 

 

Nella chiusura di marzo e aprile la divisione dell’Italia tra garantiti in smart working e non garantiti che, in parte e a malapena, hanno avuto la Cassa integrazione è stata assorbita sperando nella ripartenza. Stavolta sarà difficile “ristorare” (come usa dire il premier) categorie diffuse come commercio, ristorazione stessa, turismo e servizi vari, sarà durissima per tutti traguardarsi al prossimo maggio per allentare la stretta e sperare nel vaccino. Convivere con il virus non è più un modo di dire confortevole sperando che non succeda ma è la cruda realtà. In più l’umore del Paese è profondamente cambiato, oggi non si ha più nessuna voglia di scherzare come pure in primavera talvolta avveniva fuori dalla Lombardia. Nè può soccorrerci l’autoironia.

 

Allora, visto che non possiamo che convivere con il virus, per favore, risparmiamoci tutto l’armamentario della retorica e dei luoghi comuni, abbassiamo la tensione artificiale dovuta anche all’eccesso di comunicazione fine a se stessa mentre le cose non cambiano. Intendiamoci, la comunicazione in democrazia non è mai abbastanza, quel che non va bene è il rumore di fondo che lascia capire meno di prima e non aggiunge nulla di utile a quanto già sappiamo. Ciascuno faccia il suo, sapendo che abbiamo davanti l’inverno più duro (e più lungo) delle nostre generazioni. 

 

Gli italiani che si pensano invulnerabili e che affollavano poche ore fa le piste di sci di Cervinia ritrovino il senno, il premier dica poche sentite parole e governi con gli atti e non solo con la comunicazione e le dirette. La maggioranza coinvolga sul serio l’opposizione, perchè nessuno ha più voglia di sentire polemiche, giuste o strumentali che siano e perchè sull’incomunicabilità tra i due schieramenti l’esano ancora i rancori e le ripicche del post Conte1. I governatori se devono litigare col governo, e magari ce n’è bisogno, lo facciano in privato e poi condividano le decisioni. Ovviamente, la regola vale anche per il governo rispetto alle regioni.

 

La Svizzera ha deciso di non ammettere più gli anziani ultraottantacinquenni in terapia intensiva per riservare i non sufficienti letti a disposizione a chi ha (sia pure relativamente) maggiori probabilità di sopravvivenza. Di fatto, sta accadendo quel che è successo durante la grande crisi finanziaria: si cercò anzitutto di salvare il sistema bancario indispensabile a mantenere in funzione una società civile. Analogamente, senza un sistema sanitario generale, salterebbe ogni forma di pacifica convivenza. Se guardiamo il sito della Unione Europea sul Covid possiamo vedere le statistiche di tutti i paesi membri e fare un collegamento tra la credibilità di ogni singola  classe dirigente e la letalità del virus. Dove i dirigenti sono rispettati, credibili e sinceri,  i contagiati e i morti sono di meno (sotto il famoso uno per cento) e il Servizio sanitario regge. Dove la direzione è carente, furba e autoindulgente, il fatidico uno per cento si raddoppia o si triplica e il sistema entra in crisi. Quindi, è importante dire come stanno le cose sui contagi, sui fondi europei, sul debito, sulla sostenibilità del blocco dei licenziamenti e dei sussidi. Se dobbiamo chiedere l’aiuto dell’Esercito, facciamolo subito per le competenze in termini di organizzazione per sopravvivere in condizioni disagiate, e non dopo come logistica dei funerali. Manteniamo aperta la scuola finché è possibile, soprattutto per i più piccoli, perchè è fondamentale non far perdere ai bambini un altro anno di crescita e di socialità che la migliore e più organizzata famiglia non può sostituire. 

 

La grande crisi può rientrare in parametri gestibili, ma bisogna cambiare registro rispetto all’estate degli errori, errori fatti da tutti (ciascuno in relazione alle proprie responsabilità, ovviamente). Nessuno di noi vuole che nel deserto della chiusura reale del Paese, restino solo le desolanti immagini delle migliaia di monopattini elettrici abbandonati dappertutto nelle città, mentre per la didattica a distanza le famiglie non hanno avuto nessun aiuto. E dimentichiamo i banchi a rotelle. Medici e infermieri hanno già dato nella parte degli eroi, e anche gli addetti alla grande distribuzione alimentare. Aiutiamoli ad esserlo un pò di meno, per una convivenza col virus che sia davvero civile, organizzata e quindi di reciproco rispetto tra noi e il suddetto Covid che altro non fa che il suo mestiere. Tocca a noi fare il nostro.

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