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elezioni USA 2020

Sereni: “L’Europa non sia vaso di coccio tra due vasi di ferro”

Intervista al vice ministro agli Affari Esteri: “Con Biden maggiore collaborazione con l’Ue. Ma il giudizio degli Stati Uniti sulla Cina non cambierà

Sereni: “L’Europa non sia vaso di coccio tra due vasi di ferro”

Per giorni gli occhi del mondo sono rimasti puntati sui risultati delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America. Un duello elettorale che ha spaccato in due il Paese della bandiera a stelle e strisce e che, mai come questa volta, ha visto i cittadini degli States seguire con apprensione l’esito del voto. Dalla sfida tra the Donald e il democratico Joe Biden, già vice per due mandati di Barack Obama, il presidente in carica è uscito sconfitto. Ma rifiuta la vittoria dell’uomo che l’America ha scelto. A colpi di ricorsi, per i quali ha mobilitato stuoli di avvocati, il tycoon dà battaglia. Uno scenario inedito e di grande tensione. Biden va avanti e parla già da presidente. Cercherà di pacificare un’America divisa, che ha bisogno di ritrovare fiducia e speranza e di fermare una pandemia che la attanaglia da mesi. Ne parliamo con il vice ministro agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale, Marina Sereni. Deputata per diciassette anni e vice presidente della Camera dei Deputati nella legislatura 2013- 2018, lunghissima esperienza politica nelle file del Partito democratico, da settembre 2019 segue dalla Farnesina la politica estera. E sulle elezioni americane dice: “Joe Biden è un uomo di grande esperienza, lavorerà per unire. Novità storica l’elezione a vice presidente di Kamala Harris”.   

 

Vice ministro, il senatore Biden ha vinto le elezioni e dal 2021 guiderà gli Stati Uniti d’America. Ha già annunciato che lavorerà per unire il suo Paese. Riuscirà a guarire le ferite profonde che lacerano oggi l’America?


Sereni: “Questa è la grande sfida che Joe Biden e Kamala Harris hanno di fronte. Il presidente e la vice presidente eletti, subito dopo il riconoscimento della loro vittoria da parte degli osservatori indipendenti, hanno giustamente detto che vogliono lavorare per unire il Paese. Un Paese che esce da queste elezioni profondamente polarizzato, con un forte consenso che li legittima ma che al tempo stesso è anche andato al competitore, Donald Trump. Ci sono alcuni temi – penso al razzismo, alla pandemia, penso alle questioni sociali che il covid ha in qualche misura aggravato - che possono essere profondamente divisivi se non si recupera quello spirito di unità che è alla base della stessa vicenda degli Stati Uniti, che non a caso si chiamano Stati Uniti d’America. Non è un obiettivo facile quello dell’unità del popolo americano perché in questi anni sono cresciute le divaricazioni e le lacerazioni e perché c’è una parte della politica che ha molto puntato su questa radicalizzazione e sulla polarizzazione. Penso però che Biden sia un uomo di grande esperienza e che questa sua grande esperienza possa aiutarlo nell’affrontare la sfida. A partire dal tema più urgente che è quello della pandemia e sul quale, non a caso, ha immediatamente investito una task force di esperti per cominciare subito a lavorare”.

 

C’è un’America che ci sfugge, quella profonda dei piccoli centri urbani e delle grandi aree interne che ha ancora votato pe il tycoon. Secondo lei c’è un trampismo oltre Trump?


Sereni: “Penso che Trump sia stato l’interprete di un malessere profondo che preesisteva al trumpismo. E che il successo di quattro anni fa e le modalità con cui ha scalato la leadership nel partito repubblicano siano stati anche il risultato di questo malessere di una parte del Paese, che si è sentita abbandonata nelle contraddizioni nuove che la globalizzazione ha prodotto. Questo fenomeno credo che sia ancora presente. Ci sono degli elementi di correzione che anche la pandemia, in qualche modo, ci chiede di introdurre. E ci sono delle aree sociali in tutto il mondo sviluppato e ricco, non solo negli Stati Uniti, aree sociali di ceti medi o medio bassi, che si sentono minacciati dalla globalizzazione. Penso che questa sia stata la ragione al fondo della vittoria di Trump e della crescita del trumpismo. Si tratta di un tema molto importante per i progressisti. La vittoria dei democratici in questo momento richiede di non archiviare questo dato. Ma, semmai, di farlo diventare un tema di elaborazione e di costruzione di una nuova ricetta anche nel campo progressista. Che non significa scimmiottare, per esempio, le politiche protezioniste o le guerre commerciali a cui abbiamo assistito in questi quattro anni. Certamente, bisogna introdurre regole di mercato più giuste che proteggano le aree più deboli dei nostri Paesi, ma la risposta non è la guerra commerciale. Piuttosto, la modifica delle regole. Ad esempio, all’interno del Wto (World Trade Organization - Organizzazione mondiale del commercio, ndr)”.

 

Nello scenario globale molti analisti ritengono che con Biden non cambierà la strategia degli States di considerare la Cina come il grande avversario. E’ d’accordo? 


Sereni: “Sì, penso che Biden non cambierà il giudizio sulla Cina. Lo abbiamo visto in campagna elettorale. Forse il dossier sullo Stato cinese è stato in termini di analisi quello più bipartisan. Il giudizio dei democratici è altrettanto severo e critico di quanto lo sia stato quello di Trump. La differenza sta forse nell’atteggiamento con il quale gli Stati Uniti di Joe Biden, che vedremo da gennaio in avanti, affronteranno i rapporti con Pechino. Pensiamo, ad esempio, ai rapporti con l’Europa. Che si è trovata ad un certo punto in mezzo a una guerra commerciale di cui stiamo ancora pagando gli effetti e su cui anche in queste ore ragioniamo a causa della sentenza sul caso Boeing da parte del Wto. Noi europei abbiamo bisogno di mantenere una nostra visione strategica. Ma per ragionare e confrontarci con la Cina è importante che ci sia un dialogo tra Stati Uniti ed Europa e che l’Europa non sia il vaso di coccio tra due vasi di ferro. Penso che questo sia possibile perché Biden è sempre stato un amico dell’Ue e all’Ue ha sempre guardato con uno sguardo positivo, cosa che non sempre è stata esplicitamente affermata dal presidente Trump”.

 

Questo è un punto importante. Davvero, come ci si aspetta, Biden rinsalderà le relazioni con il Vecchio Continente dopo le forti tensioni alimentate da Trump?


Sereni: “Penso che sia legittimo aspettarselo.  Voglio essere chiara su questo punto. La politica estera italiana ha da sempre due pilastri. Uno è il rapporto transatlantico e l’altro è l’appartenenza all’Europa. In questi anni abbiamo avuto modo anche di avere momenti positivi con l’amministrazione americana dal punto di vista bilaterale. Ma, certamente, abbiamo visto una difficoltà sia nell’ambito Nato che dal punto di vista dei rapporti con l’Europa. E penso che su entrambi questi terreni l’amministrazione Biden possa introdurre un elemento di maggiore confronto e di maggiore collaborazione. Il che non significa che torniamo ad una situazione nella quale gli Stati Uniti da fratello maggiore si occupano della sicurezza dell’Europa dalla A alla Z. Credo che come europei dovremo intanto saperci prendere cura della nostra sicurezza e avere un partner sharing che consenta di equilibrare i rapporti tra Stati Uniti ed Europa: diciamo che da un punto di vista militare, nell’ambito della Nato, il tema resta. Ma anche da un punto di vista più generale il nostro vicinato – faccio l’esempio del Mediterraneo e del Medio Oriente – ha bisogno di una visione strategica dell’Ue per potersi confrontare meglio con un partner come gli Stati Uniti che, con Biden, potrà essere più disponibile a questo confronto e a questo dialogo”.

 

Quanto inciderà la sconfitta di Trump sulla destra populista al di qua dell’Atlantico? E su quella italiana di Lega e Fratelli d’Italia? 


Sereni: “Penso che la destra sovranista europea e italiana sia stata sconfitta prima di tutto dalle decisioni europee sul post pandemia. Gli argomenti con i quali queste forze hanno nel corso degli anni attaccato il progetto europeo si sono tutti molto indeboliti, e in parte dissolti quando l’Ue superando il primo momento di incertezza ha deciso di affrontare la pandemia in maniera unitaria. Abbiamo avuto delle decisioni straordinarie. Dalla Bce che ha rispolverato e lucidato lo slogan ‘Whatever it takes’, riaprendo il canale degli acquisti dei titoli di stato, alle scelte della Commissione europea. Che con Sure, Next Generation Eu e con la proposta del Mes ha messo a disposizione un pacchetto di risorse molto consistenti e superato tabù che si erano irrigiditi nel tempo: dal patto di stabilità al divieto degli aiuti di Stato fino all’emissione dei bond europei. Ecco, queste scelte hanno fatto sciogliere come neve al sole le critiche, le obiezioni e la propaganda delle forze populiste e sovraniste europee. Ovviamente, la sconfitta di Trump che è un presidente uscente che fa un solo mandato non rafforza queste esperienze. Un po’ avevamo tutti percepito questo dato: di fronte alle contraddizioni nuove da affrontare, dal clima alla pandemia, la risposta sovranista non ha dato dei risultati positivi. E questo forse è uno dei grandi insegnamenti e dei grandi messaggi che arrivano anche in Europa”.

 

Facciamo ora la domanda inversa. Quanto la vittoria di Biden è importante per democratici e progressisti europei? E, ovviamente, per il Pd?


Sereni: “Penso molto. Intanto, perché da lì viene un messaggio di speranza che non è il primo ma è certamente il più importante. I progressisti vincono, quindi i sovranisti non sono imbattibili e se non sono imbattibili negli Stati uniti non sono imbattibili da nessuna parte. Secondo, perché c’è una novità storica che considero importantissima ed è l’elezione per la prima volta di una donna, peraltro di colore, alla carica di vice presidente degli Stati Uniti. Come la stessa Kamala Harris ha detto: “Sarò la prima ma non sarò l’ultima”. Anche questo è un segno importante per il campo progressista in tutto il mondo. Saper valorizzare e lanciare delle leadership femminili è una delle sfide di questa epoca per i riformatori democratici. Terzo: penso che recuperare la capacità di dialogo, in particolare tra europei e americani, e non solo su alcuni grandi temi globali sia importante anche per cercare di ottenere dei risultati. Il presidente e la vice presidente eletti hanno aperto per questa fase di transizione un sito che si chiama ‘Build Back Better’ con indicato il programma su cui lavorare prima dell’insediamento della nuova amministrazione. Vedere lì che i temi sono la lotta alle disuguaglianze, al razzismo, al covid come primissima sfida, e che ci sia la possibilità di rimettere al centro anche la questione del clima e della sanità – Biden ha detto che rientrerà negli accordi di Parigi e nell’Organizzazione mondiale della Sanità – sono dei segnali molto importanti. Il che non toglie che dobbiamo ricostruire un’agenda progressista per il mondo. Perché i voti che sono andati a Trump, come i voti che vanno alle destre populiste e sovraniste in Europa, ci dicono che c’è un’area di malessere a cui noi, come progressisti, ancora non abbiamo dato le risposte necessarie”. 

 

Sembra che Trump voglia ricandidarsi nel 2024. Cosa ne pensa? 


Sereni: “Dipenderà dall’evoluzione che ci sarà nel partito repubblicano. Per il momento mi auguro e auspico che questa fase di transizione negli Stati Uniti sia più ordinata possibile. Stiamo parlando di un grande Paese democratico le cui istituzioni reggeranno anche in questo passaggio un po’ complicato”. 

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