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Il Paese in ordine sparso di fronte al virus

Da qualche parte c’è un problema tra task force, rimpasto e Mes

Record di vittime, Confindustria all’opposizione. In tanti si chiedono cosa avrebbero fatto i predecessori di Mattarella di fronte a questa situazione

Da qualche parte c’è un problema tra task force, rimpasto e Mes

Ma anche basta con Natale, rimpasto, Mes e i 300 esperti per il Recovery Fund. Non perchè il Natale non sia ancora  la festa più sentita da grandi e piccini, o che il rimpasto non serva, o che il Mes sia una formula oscura e non invece un piano di interventi su banche ed emergenze varie del quale nessun Paese europeo può disinteressarsi, o piuttosto che i 300 esperti debbano passare in cavalleria solo perchè appartengono al filone ormai storico delle task force, vera pietra fondante di un governo abilissimo tanto a farle comparire quanto poi a farle sparire. No, è che le decisioni vanno prese e non annunciate per settimane, mesi o addirittura anni come succede con il Mes. Vanno prese con la giusta dose di dibattito e di coinvolgimento del Parlamento, consultazione di opposizione, regioni e parti sociali come si conviene a quella che è ancora (nonostante i tentativi spesso riusciti di dimenticarselo) una democrazia parlamentare, nel momento della più grande crisi sanitaria, e quindi sociale ed economica, dalla Seconda guerra mondiale in poi, ma è responsabilità del governo e delle forze politiche che lo sostengono farlo. Vanno prese in tempi ragionevoli, senza il balletto delle notizie e dei dpcm fatti filtrare, delle vere e proprie cortine fumogene che riempiono per giorni le pagine dei giornali, le quali hanno un costo industriale elevato (non a caso la carta stampata è in crisi) e alla fine alimentano solo l’incertezza in cui la comunità già vive di suo di questi tempi.

 

Il Natale 2020 è il primo, e si spera l’unico, che la nostra comunità e quella degli altri Paesi festeggeranno senza assembramenti in famiglia, visto che la frequentazione della Messa di mezzanotte non è più così assidua come quando eravamo più piccoli e che nemmeno i sacerdoti, per lo più anziani e preoccupati come tutti della propria salute, si curano di reclamarne il diritto a celebrarle comunque e a disciplinarle come le altre, quelle che non si tengono in occasione della nascita di Gesù. Eviteremo di andare a sciare nell’impossibilità di decidere chi ci va e chi no per non intasare le sciovie, chi poteva permettersele eviterà le vacanze al caldo per non incappare in quarantene all’andata o al ritorno e per non rischiare di dover usare sistemi sanitari magari persino più congestionati del nostro. Dobbiamo stare attenti con i genitori/nonni che risiedono in altre regioni, e nessun rigido custode dei Dpcm potrà impedire di visitarli se dovessero trovarsi in difficoltà (solo quelle extra Covid, purtroppo). Si tratta dunque di sacrifici opportuni e ampiamente sopportabili perchè ci sono diverse centinaia di persone che muoiono ogni giorno per il virus e, a differenza della prima ondata, questa è diffusa in tutto il Paese e ciascuno di noi oggi è toccato in famiglia o nella cerchia di amici e conoscenti. 

 

C’è invece un enorme problema rispetto ai consumi di Natale, che significa ulteriore crisi economica e disoccupazione tenendo chiusi i centri commerciali, e un altro passo verso il trionfo dell’e-commerce e la morte del sistema dei piccoli negozi come sinora l’abbiamo conosciuto. E la chiusura non serve ad evitare assembramenti, poichè gli irriducibili del regalino a tutti i costi si riverseranno per le vie cittadine dello shopping. E’ qui che è mancato l’approfondimento, lo studio di soluzioni organizzative con le categorie interessate, il lavoro per capire quali misure potessero davvero aiutare la distribuzione organizzata a far fronte meglio a una grave difficoltà che si ripercuote sull’industria tutta. Invano organizzazioni come Confimprese o Federdistribuzione hanno chiesto confronti al governo, e sinora non hanno ottenuto nemmeno di essere consultati via telefono. Il commercio, come è noto, vale in anni normali 445 miliardi di euro e ha 3,4 milioni di addetti. Certo, meritava un’attenzione maggiore, a meno che nell’ansia di modernismo esteriore, il governo non abbia consapevolmente deciso di dare la spallata a favore dell’e-commerce, di Amazon e di Alibaba. 

 

La difficoltà di dialogo non è solo con le organizzazioni della distribuzione. Anche Confindustria, pilastro della concertazione con governo e sindacati che tirò fuori l’Italia nel 1993 dalla deriva cilena (era in corso lo sciopero dei trasportatori quando Ciampi, Maccanico, Abete e i sindacati firmarono l’accordo sul costo del lavoro che mise fine alle proteste e avviò la ripresa) ha dovuto certificare con un comunicato ufficiale di poche righe che non c’è dialogo. Ora ci sono solo due possibilità: o Conte ci ripensa e dialoga sul serio con le forze sociali, oppure queste si organizzano anche per scendere in piazza in modalità Covid, cioè ben distanziate e magari con accanto un totem con quante famiglie di lavoratori ciascun presidente di territoriale o di categoria rappresenta. E allora si accorgeranno di contare ben di più dell’opposizione salviniana, con cui pure dialogano. Se Confindustria non è o non può essere la tecnostruttura alleata del governo come in varie forme è sempre stata, allora meglio passare coerentemente all’opposizione: non c’è terza via possibile.

 

Ed ecco il Mes: siamo tutti d’accordo che il problema della seconda ondata è l’adeguamento delle strutture sanitarie per far fronte ad un virus che giovedì 3 dicembre faceva registrare il doloroso record di 993 morti in 24 ore (proprio a poche ore dalla conferenza stampa televisiva del premier, ma questo dipende dal caso ovviamente), ma le forze politiche hanno passato il 2020 a tentare di spiegare che non ne avevamo bisogno, primo perchè i tassi degli altri prestiti erano ugualmente bassi e poi perchè dietro c’erano chissà quali trappole europee. Senza entrare nei dettagli, le considerazioni sono solo due: quando la sanità rischia il collasso di fronte ad una epidemia, non c’è tanto da sottilizzare perchè all’interno di un debito che tra cento miliardi già spesi e 209 previsti non è che i 37 del Mes sanitario avrebbero spostato di molto la situazione. E poi continuiamo a non onorare la nostra storia di paesi fondatori dell’Europa, non sappiamo esserci da protagonisti nemmeno quando la casa brucia e per le banche ad esempio abbiamo già permesso negli anni scorsi che la Germania si occupasse delle proprie con i soldi di tutti, cosa che avverrà anche questa volta con il Mes riformato. Ma i grillini una volta avevano detto no e ora non possono cambiare idea, e il Pd vorrebbe dire sì ma non ne ha la forza. Meglio concentrarsi sulle chiacchiere di Natale e le task force che non sono mai abbastanza.

 

Rimpasto e task force per il Recovery Fund sono invece strettamente legati tra di loro. Conte è diventato estremamente abile a fissare l’asticella, dire che dei 209 miliardi che dovrebbero o dovranno arrivare se ne occupano lui, Gualtieri e Patuanelli insieme a sei non identificati grandi manager e poi a offrire l’osso della lottizzazione dei 300 manager ai partiti che subito abboccano, e in cui comunque il premier non faticherà certo a ritagliarsi una corposa quota. Che poi questo significa tagliar fuori ancora di più ministeri, direttori generali, burocrati che comunque paghiamo per fare il lavoro che dovrebbe fare la task force nessuno lo dice. Che poi di tutto questo magari non si fa nulla, ed è solo cortina fumogena per tenere occupata la cosiddetta parte alta dell’opinione pubblica, è anche da mettere in conto. E che nessuno si azzardi a ricordare le paginate sulla commissione Colao, gli Stati generali, i commissari per le grandi opere di cui non si ha più traccia , e quant’altro la comunicazione di palazzo Chigi ha prodotto, nella evidente convinzione che governare significa comunicare e basta, non assumersi anche senza fronzoli la responsabilità di decidere al meglio per il bene comune visto che l’emergenza ha dato a chi è al governo in questo momento una possibilità straordinaria di provare ad aiutare il Paese anche facendo debito inimmaginabile in passato e, si spera, in futuro.

 

Lo scambio rimpasto-task force sta dunque passando. E chi proprio volesse insistere sul primo è pregato di ripassare il mantra che in emergenza non si deve toccare nulla, così ci dimentichiamo che è proprio durante l’emergenza che bisogna stringere i bulloni e chiamare a raccolta tutte le energie utili, e dovrebbe farsene preciso carico chi è alla guida della nave. Giuseppe Conte, a torto o a ragione rispetto ai suoi critici o estimatori, ha deciso di fare da solo e presumibilmente conta di giocarsi tutto sull’operazione vaccini. Se poi evitasse di addentrarsi troppo nelle mura di casa e nelle indicazioni sugli affetti stabili di primaverile memoria sarebbe tanto di guadagnato: basterebbe ricordarsi che Angela Merkel ha dato già da qualche settimana le indicazioni di Natale in meno di venti succinte righe di comunicato. 

 

In tanti si chiedono invece se predecessori di Sergio Mattarella come Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Francesco Cossiga e Giorgio Napolitano di fronte ad una situazione talmente complessa e di fronte alla debolezza intrinseca di tutti (governo, forze politiche di maggioranza, forze politiche di opposizione, forze sociali) fossero restati immobili, dietro gli appelli rituali e purtroppo inascoltati, anzichè assumere con consapevolezza appropriate iniziative per fare uscire il Paese e il quadro politico dall’evidente impasse in cui si trova, di fronte ad una emergenza senza precedenti, e mentre lo scontro tra maggioranza e opposizione archivia rapidamente il clima unitario che sembrava essersi creato con il voto sullo scostamento di bilancio e contemporaneamente si riaprono fortissime polemiche con le regioni, largamente controllate dal centrodestra. Da qualche parte, dunque, c’è un problema.

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