
C’era attesa per il battesimo del fuoco di Mario Draghi alla sua prima conferenza stampa, mentre lo slittamento della riunione del Consiglio dei ministri aveva fatto per qualche ora balenare i fantasmi degli scontri e delle irresolutezze del governo precedente. Sarebbe facile riportarsi per un attimo alle conferenze stampa di un anno fa, alle lunghe attese, ai monologhi di Giuseppe Conte o agli “affetti stabili” delle autocertificazioni sia pure nel clima che allora (Lombardia a parte) per gran parte del Paese era ben diverso da quello di oggi. Oppure alle conferenze stampa della seconda parte dell’anno, quando troppo spesso veniva detto ai giornalisti che riuscivano a sfuggire alla censura preventiva “venite qui e vediamo se fate meglio”. Ma, anche se molti lo faranno, il paragone tra i due ultimi premier sarebbe profondamente ingiusto, per entrambi e ovviamente per motivi diversi: uno governa perchè ha già governato situazioni internazionali critiche e sa come si fa, l’altro che pure aveva accumulato grazie proprio alla chiusura del Paese popolarità e qualche simpatia, poi ha sprecato tutto nell’estate dei monopattini elettrici, dei banchi a rotelle, degli Stati generali e delle mascherine di Arcuri e Benotti.
E’ sui contenuti che Draghi ha segnato la differenza tra un governo che prima agisce e poi comunica e un governo che usava la comunicazione per coprire la difficoltà di governare. Basta prendere alcuni argomenti per rendersene conto. Sull’Europa ovviamente ha parlato da protagonista, con poche sentite parole, valide anche e soprattutto per i vaccini: il coordinamento è da preferire, ma se non funziona facciamo da soli; le telefonate con Merkel, Macron e Von der Leyen sono la normalità non certo l’eccezione sulla quale vivere un giorno su stampa e tv; sul Mes, a proposito del quale l’anno scorso sono stati spesi fiumi di parole e d’inchiostro, stessa musica: ma se non abbiamo un piano di rilancio della sanità condiviso col Parlamento per cosa li prendiamo a fare quei soldi, tassi a parte? Ancora, su Biden e Putin e la nuova guerra fredda: ma quale crisi, siamo allo scambio di complimenti, in ogni caso noi siamo europeisti e atlantisti.
E il registro, cioè competenza, pragmatismo e talvolta un filo di ironia appena accennata, è simile sui temi propriamente italiani: per i vaccini, bisognava guardare meglio i contratti quando sono stati fatti (unico accenno alla gestione del governo precedente, oltre allo scostamento di bilancio avuto in eredità); l’evasione non è di chi 10 anni fa doveva pagare al fisco 2500 euro diventati il doppio con interessi e sanzione, e comunque sì, è un condono; riguardo ai progetti delle opere che non decollano non arriveremo a cancellare il codice degli appalti, ma quasi; sul turismo si deve investire oggi perchè i ritorni ci saranno, siamo l’Italia. E anche sul debito e sul patto di stabilità aveva detto cosa pensava già un anno fa nel famoso articolo sul Financial Times.
E a chi, a cominciare dalle vedove di Conte, si chiedeva come se la sarebbe cavata a gestire la palude politica italiana Draghi ha dato una risposta ancora più netta, sempre con poche e sentite parole per tenere il tutto rigorosamente in ambito istituzionale: le attese su di me? Le delusioni non siano pari all’entusiasmo che c’è oggi; l’orizzonte temporale del governo lo decide il Parlamento (sottinteso, presidenza della Repubblica compresa); la Lega che si mette di traverso sulle cartelle esattoriali? Qui mettiamo le virgolette perchè la risposta è quasi da rockstar: “tutti i partiti hanno bandiere identitarie, ci sono quelle di buon senso e quelle a cui si può rinunciare senza danno nè per le identità nè per l’Italia”.
Quindi, controllo della situazione italiana e internazionale, nessuna retorica perchè anche la frase “questo non è il momento di chiedere soldi ma di darli” fotografa la situazione reale del Paese. Ora per favore nessuno chieda a Draghi di fare altro che Draghi, cioè governare al meglio delle sue capacità.
Post scriptum. La percezione di avere davanti un interlocutore completamente diverso dal passato ha fatto apparire i giornalisti quasi come intimoriti, solo uno o due, che l’avevano già seguito nelle conferenze della Bce o al Fondo monetario sono stati più spigliati. Paola Ansuini, portavoce del premier al suo esordio, non a caso stava accanto ai giornalisti per far meglio scorrere il lavoro.