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La beatificazione

Santi senza sacrestia, il giudice Rosario Livatino diventa Beato

Modello e figura controcorrente non solo rispetto alla magistratura oggi controversa ma anche di fronte alle sante “icone di gesso” dei nostri emigrati

Santi senza sacrestia, il giudice Rosario Livatino diventa Beato

Staccando un biglietto di sola andata per una nave da Napoli, Genova, Palermo per Halifax o New York, i siciliani e i calabresi, i pugliesi e i campani, gli abruzzesi e i ciociari, i marchigiani e i veneti, i friulani (raro trovare gente da altre regioni del Nord, più ricche di posti di lavoro) si portavano dietro i santi patroni della loro terra, della loro razza: San Francesco di Paola per Scilla e Cariddi, San Nicola, Santa Filomena, San Gabriele, Sant'Antonio per tutti. Nelle sacrestie di Toronto o sul fondo delle ampie chiese essenziali, fino a qualche anno fa grondanti di fedeli venuti dall'Italia, si trova il santorale, più o meno ricco secondo il livello socioeconomico della parrocchia, caratterizzato dalle provenienze regionali. Enea partì da Troia in fiamme col vecchio padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio, detto Iulo. Portava con sè i Penati, gli idoletti degli antenati, per proteggere il viaggio e benedire il suolo dove, deposto il padre in una tomba siciliana, avrebbe addestrato il figlio, il suolo dove, oltre la sua conoscenza e i suoi più arditi sogni, sarebbe sorta Roma e la Gens Iulia.

 

In maniera analoga, nelle statuette dei santi custodite in famiglia o in quelle grandi, spesso venute da Ortisei o da altri maestri italiani, importate in Canada con raccolta di fondi e trionfalmente accolte, si annida la memoria del passato, le storie di fatica e di dolore, i lutti e le ingiustizie subite. Le storie dei popoli del sud in particolare sono spesso tinte dell'ineluttabile, avverso fato: tante famiglie Malavoglia che hanno lottato invano sullo sfondo del Mediterraneo amato e crudele. Nelle tante celebrazioni degli italiani di Toronto, che ancora resistono all'omologazione elettronica, il santo patrono riunisce in sè il passato ed il futuro, la gratitudine per il benessere trovato oltre il mare oceano, la speranza per il futuro dei figli, più promettente lì che nella povera Italia dove da tempo è stato assassinato il merito, così che i meritevoli migrano anch'essi per il Canada o gli Stati Uniti, Londra, Parigi e anche Madrid: ma non sono più operai e idraulici, carpentieri e contadini, muratori e pittori; sono medici, biologi, ingegneri, scienziati.

 

Ben oltre il razionale comprensibile, la persona del santo che la statua rappresenta riunisce in sè tutti i devoti, tutti i figli e le figlie di quella terra d'Italia da cui insieme ad essi è partita. Quello che si dice in teologia biblica «personalità corporativa»: come in Giacobbe c’è tutto Israele, così in San Francesco di Paola calabresi e siciliani, in San Nicola i pugliesi e così via.

 

Nelle sacrestie italo – canadesi si conservano statue di gesso o legno o vetroresina. Rappresentazioni artistiche di persone vive e vere, che passarono su questa terra facendo del bene. Col passare del tempo, dei secoli, è possibile che il gesso o il legno non rendano più «il profumo di carne» dell'uomo o della donna celebrati. Uno scrittore cattolico, Alessandro Pronzato, scriveva negli anni'70 «Dio non vuole santi di gesso». La proclamazione di nuovi santi e beati esprime il desiderio della Chiesa d'indicare nuovi modelli, gente che profuma di carne e sangue, la cui esperienza di vita è magari più vicina all'oggi che viviamo. 

 

Di carne e sangue profuma il martirio del giudice Rosario Angelo Livatino, proclamato beato il 9 aprile nella splendida terra di Sicilia, ad Agrigento. La camicia sporca del suo sangue, finora reperto giudiziario nei processi di Caltanissetta, è stata mostrata ai fedeli. Si tratta di una reliquia, la reliquia di un beato che ha testimoniato la sua fedeltà alla comunità operando per la giustizia, contrastando chi dell'iniquità ha fatto una struttura permanente. Il presidente della Cei, Cardinal Bassetti, ha detto di lui: «Rosario Livatino è un gigante della verità, un uomo che ha incarnato il Vangelo delle Beatitudini, perchè aveva fame di giustizia».

Il Vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, David Ermini, ha aggiunto: «Livatino è il modello a cui ciascun magistrato ha il dovere di ispirarsi per guadagnarsi la fiducia dei cittadini, fonte primaria ed esclusiva della legittimità del suo agire». Ovviamente, Ermini evita di chiedersi cosa avrebbe detto Livatino sulla situazione odierna della magistratura,  divorata dalle faide interne e sempre meno credibile proprio da parte dei cittadini.

 

Il Beato Rosario Angelo invece è ancora un modello per tutti coloro che credono nei valori della Repubblica, che non hanno perso il ricordo del sangue dei martiri della libertà, di chi resistette al nazi-fascismo per garantirci di respirare liberamente, degli altri, che resistettero alle mafie semplicemente compiendo fino in fondo il proprio dovere a tutela della comunità: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, ma anche Francesco Marcone, direttore dell'Ufficio del Registro a Foggia, ucciso dalla Mafia locale nel 1995 perchè il suo rigore professionale limitava loschi traffici edilizi.

 

I vescovi siciliani hanno detto di Livatino: «Era uno di noi, cresciuto in una comunissima famiglia delle nostre e in una delle nostre città, dove ha respirato il profumo della dignità e dove ha appreso il senso del dovere, il valore dell'onestà e l'audacia della responsabilità». Gli antichi santi, portati come i Penati nei luoghi della migrazione italiana, sono stati preziosi per mantenere l'identità culturale e nazionale. Ci auguriamo che questi santi senza sacrestia, che non sanno di gesso ma di carne e sangue di fresco versato, possano integrare l'identità degli italiani e rinnovare il loro senso etico, la loro fedeltà alla Repubblica.

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