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Un diritto senza una lobby a sostegno

La natalità può spingere l’Italia. Ma quando se ne discute seriamente?

Non è successo nulla dopo l’incontro tra Papa Bergoglio e Draghi, e fare un figlio in Italia resta sempre di più un lusso mentre una volta era una ricchezza

La natalità può spingere l’Italia. Ma quando se ne discute seriamente?

Cito a memoria una frase del film "Tutta una vita" (di Claude Lelouch, 1974), che mi colpì adolescente: «Un giorno la cosa più difficile a farsi sarà ciò che oggi è più facile: fare un figlio». A quasi cinquant’anni dal film la profezia sembra tragicamente vera per l’Italia. Le statistiche indicano il fu «Bel paese» in fondo alla classifica della natalità. Qualche lustro fa scrissi «Un figlio e un terzo», quando il tasso demografico era circa 1,3 per donna; oggi per rappresentarci 1,24 figli per donna dovremmo immaginare un bambino e una gamba. Ma non siamo vitelli, che si vendono a quarti!

 

Il mese appena trascorso a Roma, sulla sutura Stato – Chiesa di via della Conciliazione, si sono celebrati gli Stati generali della natalità. Sono intervenuti sia il Papa sia il Presidente Draghi, che hanno accettato l’invito di Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari. Concordi le due massime autorità nel riconoscere un principio che i nostri antenati braccianti e contadini conoscevano così bene da non aver bisogno di citarlo: «Senza natalità non c’è futuro», ha declinato Francesco; «Un’Italia senza figli è destinata a scomparire», gli ha fatto eco Draghi.

Nei giorni successivi, accanto a un’intervista su un rotocalco al segretario PD Enrico Letta, è comparsa una cartina d’Europa particolare: il territorio dei paesi membri veniva rappresentato più o meno grande rispetto a ciò che è realmente in proporzione degli abitanti che il paese avrà nel 2070. Così accanto a una Francia ingrassata e una Germania florida, la stessa Spagna ben messa, ho contemplato mesto una lisca di triglia dalle Alpi alla Sicilia: povera Italia mia, con gli abitanti dimezzati in cinquant’anni.

 

Da molti anni la cultura dominante definisce i diritti in maniera rozzamente plebiscitaria, come se una lobby urlante e aggressiva possa costituire un diritto. Il realismo giuridico classico, da Aristotele a Tommaso d’Aquino, passando per i Giuristi della Roma antica, definiva il diritto «ipsa res iusta» (la stessa cosa giusta), non una potestà, una pretesa, ma la titolarità su una cosa che appartiene secondo giustizia alla persona. In fondo alla realtà che viviamo ci sono diritti immediati fondati nella natura, che magari non hanno la lobby che li sostenga. È un diritto dell’umanità stessa continuare a vivere, e in essa è un diritto dei popoli. 

 

Nei Codici di tutto il mondo esiste il modello, ripreso dal Diritto romano, del bonus pater familias. I tempi esigono che gli si accosti quello della bona mater familias: entrambi un paradigma di diligenza e correttezza esemplari in tutti gli affari giuridici, nelle obbligazioni, nella gestione d’un incarico o magistratura. Ora i cittadini italiani hanno la libertà evidente di rivolgere il dibattito su altri temi, a nostro avviso meno urgenti. Ma per quanti anni lo potranno fare? Non basta una folla agitata per mutare la realtà rammentata da Draghi: senza figli scompariamo.

Si apra dunque un dibattito serio e veloce su come aiutare le famiglie ad avere i figli che desiderano. L’assegno unico è una buona cosa, ma occorre moltiplicare le strutture come asili nido – specie al Sud carentissimi – ed altri servizi ausiliari alle famiglie, offrire lavoro stabile ai giovani, favorirne l’uscita dalle famiglie, in cui stazionano troppo a lungo a causa dell’incertezza lavorativa. Il presidente De Palo, che ben ha studiato la questione, affermava: «Ormai fare un figlio è diventato un lusso, come se fosse una delle prime cause della povertà. Un tempo era una ricchezza … come può diventare fonte di povertà la nascita di un bambino?». Studi recenti, ha aggiunto De Palo agli Stati generali, dicono che molte donne vorrebbero avere più figli, ma sono costrette a fermarsi ad uno.

 

Nel parco nazionale storico che si trova in Atlanta – Georgia, dedicato al martire Martin Luther King Jr., sorge una statua dell’artista Patrick Morelli che rappresenta in bronzo un’icona del film per la TV Radici, di Alex Haley, visto in Italia nel 1978. Kunta Kinte, ripetendo sul suolo americano della sua schiavitù un antico rito africano, innalza verso il cielo il suo neonato figlio. In quel bimbo innalzato c’è tutto il grido di libertà di Kunta e del suo popolo, tutta la sua speranza e i suoi sogni. Ogni volta che mi chiedono di battezzare un bambino anch’io lo innalzo al cielo, affidando al suo piccolo cuore le speranza del popolo italiano e dell’umanità intera. Siamo diventati eunuchi intellettuali, blaterando sovente su presunti diritti soggettivi che sono radicalmente sterili, che sanno di morte. Siamo «’o paese do sole», torniamo ad essere il paese dell’amore e della vita.

Lo dice, da tutt’altra cultura e fede, Rabindranath Tagore: «Ogni volta che nasce un bambino ci rendiamo conto che Dio non si è ancora stancato dell’umanità». E il valore è così universale ed evidente che va bene per ebrei e cristiani, per gli induisti e i buddisti, per tutte le altre religioni e allo stesso modo per i non credenti. Per questi adatteremmo così Tagore: «Ogni volta che nasce un bambino ci rendiamo conto che l’umanità può sperare ancora nella vita».

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