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Nanni Delbecchi-Alessandra Appiano, l’amore eterno in un documentario

Se la legge 180 non fosse stata svuotata forse lei si sarebbe potuta salvare dal male oscuro. Ma per una volta voglio parlare dell’uomo innamorato

Nanni Delbecchi-Alessandra Appiano, l’amore eterno in un documentario

Qualche giorno fa, a poche ore dalla messa in onda su Raidue e Raiplay, Nanni Delbecchi mi ha mandato via whatsapp il link ad “Amica di salvataggio”, il documentario che ha scritto, diretto e dedicato a sua moglie, Alessandra Appiano, scrittrice e attivista per i diritti umani, morta tre anni fa dopo essersi lasciata cadere (non ha mai voluto pensare a un tuffo, ma a un dolce lasciarsi andare definitivo) dell'ottavo piano di un hotel milanese, a pochi passi da Villa Turro dove era ricoverata per una grave forma depressiva. Nessuno si accorse che Alessandra non era rientrata dopo aver avvertito che sarebbe uscita per un caffè. Chissà chi si prese la responsabilità di farla uscire. Fu lo stesso Nanni, ore dopo, ad avvertire la struttura che sua moglie era stata trovata ai piedi della torre, con il braccialetto identificativo addosso. 

 

Quell’atto estremo, ci sono ormai pochi dubbi, si sarebbe potuto evitare se Alessandra fosse stata curata e seguita come si doveva e come adesso la magistratura sta finalmente verificando che non è stato, dopo una frettolosa e iniziale chiusura delle indagini. Alessandra, forse, sarebbe ancora viva se la legge 180 non fosse stata svuotata “fino al punto di non essere più una tutela per i pazienti”, come ha detto qualche giorno fa Nanni a Repubblica.

Ha messo in questa impresa giuridica tutte le sue forze, suppongo anche economiche. Ma in parallelo, ha lavorato su questo meraviglioso, delicatissimo documento, in cui si piange, si sorride, si partecipa, forse si comprende qualcosa di questo male oscuro che Alessandra covava in sé dall’infanzia e che si ripresentava, ormai, sempre più spesso, incombente, più vicino. La sua voce ricca piena, con le vocali un po’ aperte del Piemonte dove era nata, è stata affidata a Lella Costa, che parla come avrebbe parlato Alessandra, ma parla anche un po’ come Nanni.

Lo so perché ho finalmente guardato quel video, dopo averci cincischiato attorno per tre giorni. Non ho mai scritto una riga sulla morte di Alessandra Appiano, perché qualunque cosa avessi digitato sul computer mi sarebbe sembrata un’irruzione volgare e guardona nel palazzo candido e maestoso del suo amore per lei, in quel Taj Mahal che Nanni andava erigendo per Alessandra un giorno dopo l’altro, credo dal primo istante in cui Vito Oliva, che adesso compare fra gli autori del documentario, li aveva presentati. 

 

Questo articolo è per lui, e mi spiace molto se riterrà che io abbia rubato spazio ad Alessandra e al dramma della depressione. Però, vedete, non posso fare a meno di scrivere di Nanni, perché tutto quello che ho, che abbiamo letto sull’amore eterno, sui legami che non si spezzano mai, sul sacrificio perfetto dell’amore ch’a nullo amato amar perdona è qui, in questa ora di documentario che si apre e si chiude sull’appartamento di via Napo Torriani dove quest’uomo viveva, immerso nell’ incanto dell’amore per una donna splendente come Alessandra. Se guarderete il documentario su Raiplay, e mi auguro lo farete, non badate – o meglio, non concentratevi solamente - sulle tante voci, anche importanti, che testimoniano degli esordi di Alessandra e della sua carriera, costellata di premi per i suoi libri e di riconoscimenti per il suo impegno a favore degli altri. 

 

Dietro le inquadrature cercate questo marito, questo uomo che dipana il filo del racconto e squarcia il velo dell’ipocrisia sul male di vivere, perché oltre a intuire qualche sprazzo di verità sulla malattia che la religione cattolica non può che ritenere innominabile, e che infatti fatichiamo tuttora a riconoscere, imparerete qualcosa sugli uomini per bene. Nanni e io abbiamo lavorato insieme per anni. Aveva accettato di entrare a far parte, unico uomo, della redazione di un mensile femminile apparentemente inadatto alla sua cultura, dove la sua esperienza si era però subito dimostrata fondamentale per togliere un po’ di incertezza a un gruppo di trentenni senza troppo mestiere e gestirne con garbo l’organizzazione dei pensieri e del lavoro. Anni dopo, avrebbe dedicato a quell'esperienza un saggio romanzato divertente e un po’ cinico: "I favolosi anni zero".

Con Nanni, che da molto tempo lavora ormai a Il Fatto Quotidiano dove scrive principalmente di media e società, avevo conosciuto anche Alessandra, di cui già leggevo i romanzi leggeri e brillanti. Ogni tanto scriveva qualcosa anche per noi. Deliziosa, puntuale, allegra. Troppo. Ricordo una cena a quattro in cui ebbi la netta percezione che nella sua voce ci fosse una nota che suonava troppo alta, troppo a lungo. Ho vaga memoria di una tensione costante, palpabile, acuta, di un’allegria forzata, che non avrei più trovato in altri incontri con lei, ma che forse preludeva a un suo prossimo ritrarsi fra i suoi fantasmi, chissà. Lì per lì ci feci, appunto, poco caso. Ma ricordo invece benissimo l'espressione di Nanni. L’apprensione con cui la guardava, l'amore con cui rincalzava ogni sua parola, quasi a coprirla, a proteggerla. 

 

Quando ricevetti la telefonata della nostra segretaria di redazione di quegli anni che mi annunciava la morte di Alessandra, non riuscii a visualizzare lei; ripensai a Nanni che la guardava quella sera, bevendo ogni sua parola. E alla immensa fatica che da quel momento sarebbe stata la sua vita. Pensai al giorno in cui aveva sposato Alessandra con un completo blu di cui tutti conoscevamo ogni dettaglio. "Era bellissimo, ero così orgogliosa che avesse scelto me", aveva detto lei, lasciandoci intuire la parità di sentimenti e di rispetto che modulavano quel rapporto. Pensai a quello che lo aspettava, a come non si sarebbe mai rassegnato.

Non mi sbagliavo, se non in una cosa. Il documentario. La perfezione di quella sceneggiatura, delle inquadrature, della scelta delle immagini. “L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnati”.

La Circe e Leucotea di Cesare Pavese, “le streghe”, sanno che cosa ci aspetta, ma sanno inchinarsi davanti alla nostra compassione per l’altro, al nostro amore. E’ questo il momento in cui il ricordo svanisce per trasformarsi in un perfetto, onnisciente presente. Nanni Delbecchi conosce questa dimensione.

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