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Da Erode a Putin

La retorica dei farisei non maschera l’invasione, uccide gli innocenti

I frati cappuccini polacchi e ucraini difendono i bambini, il convento di Kiev ha l’immagine di Padre Pio da Pietrelcina sul timpano. Il mio amico Leszek

La retorica dei farisei non maschera l’invasione, uccide gli innocenti

Ho conosciuto fra Leszek (nome di fantasia per motivi di sicurezza) a un incontro internazionale di frati Cappuccini a Roma qualche anno fa. Grosso come la media dei frati polacchi era davanti alla porta della loro sala di ricreazione, sotto la bandiera bianco-rossa; la vicina sala degli italiani era ancora vuota. Stavo per entrare da loro ma mi fermò con un gesto della mano: «Polski», solo polacchi. Non gli credetti per nulla e lo spiazzai dicendo: «Szcz??? Bo?e», che in italiano si pronuncia più o meno: «Stresc Bosce» e vuol dire «Dio ti benedica». È una delle poche frasi polacche che conosco, ma funzionò. Gli scappò una risatina e con gesto deciso mi disse di passare. Il resto fu facile: i frati polacchi parlano quasi tutti l’italiano, lui no, avendo lavorato solo tra Polonia e Ucraina, ma la vodka che gustammo parlava tutte le lingue. Nei giorni che trascorremmo assieme, la relazione fraterna si rinforzò. Quando ci salutammo per tornare, io a Roma quartiere Ludovisi, lui a Kiev, m’insegnò un’altra parola polacca: «przyjaciel (pronuncia psiaciel ) – amico». Indicò con le dita piegate il suo torace e poi il mio e ripeté il vocabolo sorridendo. Senso inequivocabile: «Tu e io siamo amici».

 

La stessa parola, amico, mi è stata riportata da parte sua in questi giorni, tramite un altro frate polacco che mantiene i contatti con i fratelli in Ucraina e Russia e in tutta la regione dell’Europa Orientale. Leszek è ancora in Ucraina, proprio a Kiev. Caduto il muro di Berlino i frati polacchi iniziarono una penetrazione missionaria in quelle zone inavvicinabili al tempo dell’Unione Sovietica. Oggi in Ucraina sono 36, metà polacchi, metà ucraini, ma ce ne sono alcuni anche in Russia e in Bielorussia, in Georgia e in altre nazioni, fino alle repubbliche baltiche. I frati in Ucraina non hanno subito morti poiché si trovano in località non interessate dalla guerra finora. Il che non vuol dire che non succeda nei prossimi giorni. La presenza più a rischio è proprio Kiev.

 

Il convento, che sul piccolo timpano ha un’immagine di Padre Pio da Pietrelcina, si trova sul lato orientale del Dnepr. Molte donne e bambini, anziani, non sono riusciti a scappare fuori nazione o non hanno voluto. Così i frati restano ad accogliere quelli che ancora tentano un cammino verso la Polonia o altri stati confinanti: questi si fermano due o tre giorni e ripartono, con tutti i rischi. Altri restano. C’è chi ha perso la casa. Così poggiano qualche povera cosa in convento e, soprattutto, scendono nei sottoscala e nelle cantine in caso di attacco aereo.

 

Ognuno si porta nel cuore volti e nomi di amici e parenti di cui non si sa la sorte. I frati offrono il semplice conforto della fraternità francescana: pregano con gli ospiti, condividono cibo e generi di necessità, celebrano la Messa e confessano chi lo chiede, ma giocano anche a bigliardino coi bambini, e tutti insieme cantano. Alcuni frati sono stati cappellani militari, possono dare qualche consiglio ai confratelli che si recano in altre località per distribuire cibo e aiuti a chi non l’ha. A volte devono trasportare bambini. Sul furgone giallo che usano c’è scritto in grossi caratteri: ???? (pronuncia: Dieti) – Bambini. La speranza è che i russi non sparino e non aggiungano nuove carrozzine vuote accanto a quelle – oltre cento almeno - che indicano bambini morti.

 

La foto di gruppo sotto l’immagine di Padre Pio dinanzi alla parrocchia presenta solo donne e bambini: i papà stanno combattendo, tra essi ci sono certo quelli ancora vivi e i morti. Penso alle infinite analisi strategiche e politiche sui media di questo periodo, da quelle più lucide a quelle raffazzonate, da quelle equilibrate alle farneticanti. Con orrore leggo a volte parole che vorrebbero giustificare «la speciale operazione militare» del Signor Putin (premio Nobel per la colossale ipocrisia semantica) con il ritiro Usa dall’Afghanistan o altre ragioni di politica internazionale. Così suonano strane le parole del Signor Lavrov che parla di «smilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina» mentre numerose fonti attestano di violenze indicibili dei suoi soldati invasori sulle donne ucraine, che alla fine vengono impiccate o uccise in altro modo.

 

Guardando i miei frati che custodiscono queste donne coi loro bambini mi viene in mente il buon San Giuseppe. Chissà, forse anche il re Erode avrà parlato – mutatis mutandis – della necessità per la nazione di uccidere quei bambini innocenti tra i quali doveva annidarsi quello che minacciava il suo trono. Anche lui avrà invocato la ragion di Stato, come Putin e Lavrov. I Giuseppe ucraini stanno combattendo l’invasore, fecondando del proprio sangue la loro terra. I miei buoni frati, con fra Leszek in testa, cercano di tirar su questi piccini, di recuperarli dallo spavento delle bombe, dal pianto che invoca «Papà …». Mi concedo un violento volo pindarico.

 

Nell’Africa subsahariana, in Ciad e repubblica Centrafricana, le prime parole del Padre nostro ricevono una singolare traduzione. Da «che sei nei cieli» diviene: «Padre nostro che guardi dall’alto tutte le capanne». Sulla testa dei piccoli ucraini non c’è la paglia del tukul africano, ma i mattoni dello scantinato dei frati. Più in su volano sibilanti oggetti che portano la morte. I bimbi hanno paura, abbracciati alle mamme continuano a pregare il Padre nostro: «… e liberaci dal male». La retorica dei farisei non può mascherare il fatto brutale di un’invasione che sta uccidendo innocenti: gli ucraini, ma anche i soldatini russi che ora si scopre ingannati da falsi ordini di esercitazione, e morti già a migliaia.

 

La retorica del potere, da Erode a Putin, non giustifica l’eccidio. San Giuseppe, avvertito in sogno, portò in Egitto il bambino e sua madre. Dio, Padre nostro, Padre di tutti, Erode incombe ancora e uccide. Liberaci dal male.

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