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Le celebrazioni pasquali

La Quaresima, e Cristo come la Fenice, al tempo della guerra in Europa

Il destino finale dell’uomo nella fede e i 40 giorni di Gesù nel deserto. Noi per quanto tempo riusciremmo a non essere connessi?

La Quaresima, e Cristo come la Fenice, al tempo della guerra in Europa

L’area metropolitana della città di Phoenix, capitale dell’Arizona, è chiamata Valle del sole. La lingua inglese ha conservato il nome latino del mitico uccello, l’italiano lo rende con Fenice, più spesso Araba Fenice. Antica mitologia greca e di altri paesi identifica la Fenice come uccello immortale; legata al sole e alla sua energia la Fenice rinasce dalle sue ceneri (evidente l’accostamento all’assolata città americana che ne conserva il nome e la disegna sulla sua bandiera). Presente nell’antico Egitto, citato in un frammento di Esiodo del VI secolo A.C., il mito della Fenice viene interpretato da qualche autore cristiano dei primi secoli come riferimento simbolico alla risurrezione di Cristo.

 

Il 22 febbraio 2023 le Ceneri sono state sparse sul capo di folle di fedeli in tutte le chiese cattoliche del mondo. Rimane un mistero perché i fedeli si affollino più in questa celebrazione feriale, il mercoledì dopo carnevale, che in altre della settimana santa. La liturgia prevede due formule alternative che il sacerdote pronuncia quando il fedele a capo chino gli si para davanti per ricevere la cenere: «Convertiti e credi al Vangelo», «Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai». Il simbolo austero implica più trasformazione che fine. La legge di Lavoisier dice che nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Nella cenere che si attacca ai capelli del fedele resterebbe l’interrogativo: che sarà di me? Che sarà dopo il ritorno alla polvere? Quando la terra madre mi avrà accolto nel suo seno per macerarmi in un abbraccio che va ancora verso la vita?

Il richiamo al Vangelo contiene la risposta: ascoltare la parola del Cristo significa volgere lo sguardo verso il sole, che ridona vita alla Fenice, vedere le ceneri trasformarsi ancora in tessuti viventi, in un cuore che emana nuovi battiti di vita. La più profonda autodefinizione di Gesù nel Vangelo di Giovanni è questa: «Io sono la luce del mondo». La teoria più accreditata sull’origine dell’universo resta il Big Bang: un’impressionante esplosione primordiale che ha dato origine alle galassie e ai vari sistemi planetari. Il Cristianesimo invita in qualche modo a invertire la deriva d’espansione del cosmo, a tornare al cuore del Creatore. Lo stesso Prologo del Vangelo di Giovanni afferma che «tutto è stato fatto per mezzo del Verbo – Gesù».

 

In un’Europa in cui rappresentano ormai un «resto», i cristiani continuano a seguire i riti quaresimali di trasformazione e riflessione. La stessa parola «Quaresima» viene dal latino quadragesima a indicare il numero quaranta, i quarant’anni di Israele nel deserto alla ricerca della propria identità, assieme alla terra promessa, i quaranta giorni di Gesù nel deserto, narrati ancora nella Prima domenica di quaresima nelle chiese cristiane. L’esperienza di Gesù continua e perfeziona quella dell’antico Israele. Anche il deserto è simbolo più complesso di quanto sembri a un primo sguardo. Luogo duro per vivere, dove non c’è cibo né acqua, è tuttavia spazio di prospettiva lunga. Il serpente che può nascondersi nel fogliame della giungla tropicale, si vede a molti metri, consentendo una migliore difesa. Oltre il deserto c’è la terra promessa, che Israele ha ricevuto in eredità e di cui vuole entrare in possesso, una terra dove «scorre latte e miele».

Il Figlio di Dio viene tentato nel deserto. Lo spirito del male lo provoca. Vestito di inaudita insolenza giunge a chiedere al rabbi di Nazaret di adorarlo, in cambio gli darà tutto l’oro e il potere del mondo. Gesù abbatte con eleganza il nemico: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: “il Signore tuo Dio adorerai: a lui solo renderai culto”».

 

Un bel libro di un biblista, George Azou, titola «Dalla servitù al servizio», e parla dell’esperienza di liberazione dell’antico Israele. Israele era schiavo in Egitto. Attraverso la lunga prova del deserto giunge a riconoscere la propria dignità di popolo eletto da Dio. Notare che «servizio» in greco classico è «leiturghein», la liturgia celebra in un’economia di simboli l’attualità dell’esperienza di Israele, l’assoluta contemporaneità della necessità di un processo di liberazione e di riappropriazione identitaria. Uomini e donne hanno trovato la loro libertà nel deserto, seguendo Mosé; uomini e donne ripetono e prolungano nel tempo questo cammino di liberazione oggi.

 

Anche negli ultimi giorni dirigenti russi hanno fatto balenare la minaccia dell’olocausto nucleare. Se anche si trattasse di un bluff si tratterebbe di un’azione miserabile. Togliere il sonno a grandi e piccini è un atto vigliacco, si commenta da sé. L’Occidente si sentiva sicuro tra lavoro certo, supermercati, cellulari e schermo TV. La nostra Babilonia circondata di schermi d’ogni dimensione sta facendo i conti con nuove paure. Nuove richieste, tuttavia, vengono aggiunte alla lista dei diritti essenziali: come quella di determinare o cambiare il proprio sesso. Le parole più naturali dell’esperienza umana, padre, madre, vengono contemporaneamente eliminate. Non so se stiamo camminando nella direzione giusta. Io spegnerei ogni fonte elettronica per un po’ e seguirei il maestro nel deserto. Ognuno in Europa ha il diritto di esprimere la propria opinione … o forse no. Ricordo durante la sua presidenza della Convenzione europea, 2001-2003, il Presidente Giscard d’Estaing rifiutare la lettera del Papa Giovanni Paolo II che un politico italiano gli stava consegnando. Disse: «È meglio se la rimette in tasca»: atto di rara ineducazione e arroganza. La lettera conteneva la richiesta di inserire nella redigenda Costituzione europea un riferimento alle «radici giudaico – cristiane dell’Europa». Il progetto di Costituzione poi abortì, dopo i referendum contrari di Francia e Olanda.

Il Trattatello di Lisbona 2007 che ne seguì, non è una Costituzione: l’Europa resta ancora legata alla burocrazia di Bruxelles, più mercato che nazione, e manca di radici identitarie. Un fedele ebreo scrisse allora che negare le radici giudaico-cristiane dell’Europa è come negare i milioni di croci piantate in tutti i cimiteri del continente. Il professor Weiler, ebreo praticante e insigne studioso della questione Europa aggiunge: «Un’Europa cristiana è un’Europa che rispetta ugualmente in modo pieno e completo tutti i suoi cittadini: credenti e laici, cristiani e non cristiani. È un’Europa che, pur celebrando l’eredità nobile dell’Illuminismo umanistico, abbandona la sua cristofobia e non ha paura né imbarazzo a riconoscere il Cristianesimo come uno degli elementi centrali nell’evolvere della propria civiltà» (J.H.H. Weiler, Un’Europa cristiana, un saggio esplorativo, RCS, Milano 2003).

 

Per questo, sulla parola di un figlio di Abramo, riteniamo non inutile proporre gentilmente ai lettori una meditazione sulle Ceneri. Mentre la rabbia dei cannoni e dei missili desertifica Bakhmut, i cittadini europei possono forse ritrovare nel deserto con Gesù un più chiaro profilo della propria identità. Canteremmo all’Europa un brano del celebre gruppo rock America: «In the desert you can remember your name»: cerca il tuo nome, Europa, la tua liberazione.

 

© copyright Antonio Belpiede 2023.

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