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Ecco perché la Carrà è stata icona di stile e star internazionale

Attrice e ballerina, vita sottile e caschetto studiato per lei, consolidò in trent’anni il suo personaggio. Bernabei le affiancò i migliori costumisti Rai

Ecco perché la Carrà è stata icona di stile e star internazionale

Andarsene senza che nessuno, o quasi, sappia della tua malattia, è ormai un privilegio e una dimostrazione di stile. La signora Raffaella Pelloni, in arte Carrà, aveva entrambi: l’annuncio della sua scomparsa è piombato come un fulmine, portato da Sergio Japino, non più compagno, ma amico più caro. Adesso che la ricorderanno per i soliti due aneddoti (il flirt con Frank Sinatra, l’assalto di Roberto Benigni a Sanremo 1991) e la storia dell’ombelico scoperto, che fu sì rivoluzionaria ma non quanto la sua vita assolutamente libera, noi vorremmo provare a ricordarla attraverso i suoi simulacri.

 

Abbiamo lavorato, selezionato, montato, fotografato i suoi costumi per anni; per libri, mostre, programmi tv a cui lei talvolta partecipava e molto più spesso no, perché avrebbe voluto essere celebrata oltre quei metri di seta e di lamé e noi, purtroppo, di moda e costume ci occupiamo. Adorata da un esercito mondiale trasversale di stilisti, costumisti, mondo televisivo, intellettuali e militanti gay che la divinizza(va)no come una “mater accogliente e dolorosa” perché dopotutto aveva avuto una vita piena e soddisfacente, ma mai una vera famiglia, mai figli, Raffaella Pelloni in arte Carrà come il pittore aveva settantotto anni, di cui sessantasei spesi davanti alle telecamere del cinema, una grinta pazzesca e un corpo minuto. 

 

Una volta restammo impietrite davanti a un giacchino dei suoi esordi televisivi, controllando ossessivamente l’etichetta e il libro di produzione. Era una taglia 36, forse, e non sarebbe mai aumentata di molto. Nessun’altra star televisiva e pochissime attrici, italiane e non, potranno mai vantare un numero di collaborazioni artistiche con costumisti e stilisti di fama internazionale paragonabile al suo. Il personaggio-Carrà, a cui lei stessa si riferiva spesso in terza persona con i suoi collaboratori - mantenendo netta la linea di demarcazione fra vita professionale e privata - nacque infatti grazie allo studio e all’elaborazione creativa di premi Oscar, firme del Lido di Parigi e degli spettacoli di Las Vegas, stilisti e art director: artisti rigorosi e filologici come Piero Tosi e Pier Luigi Pizzi, eclettici come Danilo Donati e Luca Sabatelli, raffinati come Corrado Colabucci. Fu un lavoro di progressiva caratterizzazione, affinamento, codifica, che si consolidò lungo un arco di tempo di oltre trent’anni, dalla tarda adolescenza alla prima maturità dell’attrice, e che certamente non è ancora finito. 

 

Il primo costumista della vita professionale di Raffaella Carrà fu Flavio Mogherini, futuro costumista e scenografo di Pier Paolo Pasolini e Mauro Bolognini, e regista di Per amare Ofelia (1974): era il 1952 e la giovanissima attrice, che a nove anni era già impegnata nella danza classica sotto la guida di Jia Ruskaja e ancora incerta fra gli studi di danza classica e la recitazione, interpretò il ruolo di Graziella nel dramma strappalacrime Tormento del Passato di Mario Bonnard in cappottino doppiopetto e pamela di feltro sui ricci scuri.

Nel 1960, diciottenne neo-diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia, nelle mani di Pier Luigi Pizzi si trasformò nella trepidante Ines Villani, sorella dell’antifascista Franco ne La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini, mentre tre anni dopo fu il grande Piero Tosi a raccoglierle i capelli in uno chignon disordinato e ad avvolgerla nello scialle dimesso di Bianca, operaia tessile nella Torino delle rivendicazioni sindacali di fine Ottocento per I compagni di Mario Monicelli.

Quando, nel 1965, interpretò Gabriella accanto a Frank Sinatra ne Il colonnello von Ryan, Raffaella Carrà vantava già esperienze teatrali, con la Compagnia Spettacoli Gialli Pilotto e Carli e le prime apparizioni radiofoniche e televisive, sotto la guida artistica dei grandi costumisti della televisione dell’epoca: Maurizio Monteverde, Folco Lazzeroni Brunelleschi e Danilo Donati, che nel 1964 la vestì per la parte di Ortensia ne I grandi camaleonti, dramma sui rivolgimenti politici del Direttorio dove recitava accanto a Giancarlo Sbragia e Tino Carraro, e nel 1965 nel ruolo di Costanza de Mauriac in Scaramouche, miniserie “cappa e spada” che resterà negli annali della Rai sia per le musiche e le canzoni originali di Domenico Modugno sia per la ricchezza dei costumi, di ispirazione molto libera e volumi ampi come nello stile del futuro premio Oscar. 

 

Nei primi mesi del 1970, quando la Rai targata Dc decise arrivato il momento di scommettere su quella giovane e versatile artista, Raffaella Carrà aveva già al suo attivo un buon numero di esperienze come valletta e co-conduttrice (Tempo di musica, Il Paroliere questo sconosciuto), mentre gli archivi fotografici Rai andavano arricchendosi di servizi fotografici che la ritraevano in mise da giovane signora di aspirazioni tranquille e borghesi, con doppio filo di perle e abitino nero, graziosi e del tutto dimenticabili.

Il direttore generale della Rai di allora, Ettore Bernabei, decise di affiancarle i suoi due migliori costumisti, Corrado Colabucci ed Enrico Rufini, che per primo la seguì nel celeberrimo Canzonissima 1970/1971 dove la Carrà mostra al pubblico televisivo, non per prima ma in maniera definitiva e irripetibile, l’ombelico. Colabucci, impegnato in Studio 10, offre a Rufini qualche suggerimento sullo stile più adatto per una primadonna che la Rai vuole elegante e raffinata, ma allo stesso tempo incisiva, identificandolo nel gusto dello stilista italo-tunisino Loris Azzaro, in quegli anni prediletto dal jet set.

Il vero lavoro di costruzione del personaggio Carrà inizia però fra il 1970 e il 1971, come testimoniano le decine di album da disegno sui quali Colabucci esplora tagli, acconciature, colori, pose, stili, come gli stivaletti dell’esatto punto di colore dei pantaloni per valorizzare le gambe. 

 

La showgirl che presto diventerà “la più amata dagli italiani” aveva due punti di forza: la vita molto sottile, e i capelli forti, folti che reggevano qualunque piega. Portava già dal 1969 il celebre “caschetto che torna sempre a posto” studiato per lei da Celeste Vergottini, ma nonostante il costumista le consigliasse un biondo caldo e luminoso, di grande effetto sotto le luci di studio, fino alla metà degli Anni Settanta la tinta sarebbe restata rossa. Raffaella Carrà preferiva i cristalli alle paillettes, non amava le piume “da soubrette” e, come si scoprì dalla fine degli Anni Settanta, quando a Colabucci subentrò Luca Sabatelli, poteva osare ogni mise, anche la più fetish, con ironia e sorridente garbo.

L’incontro fra la showgirl e il costumista che, fino a quel momento, aveva lavorato solo per il cinema, avviene nello studio di Ma che sera nella primavera del 1978, in un momento politicamente molto difficile per l’Italia, i mesi del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Fu l’apogeo e insieme la fine degli anni di piombo: l’Italia voleva uscirne e la Rai, termometro sensibilissimo dell’umore nazionale, confezionò volutamente uno show lenitivo, son et lumières, con la regia di Gino Landi e i testi di Gianni Boncompagni e Dino Verde.

Raffaella Carrà, appena rientrata in Italia dopo anni di tournées all’estero, intonava “Tanti auguri” spuntando dal Duomo di Milano e Villa la Rotonda di Palladio dell’Italia in Miniatura in un riuscito mix fra un costume di scena e un’indicazione modaiola: calzamaglia scura e grande pullover con le maniche a pipistrello incrostato di cristalli. Il programma, che per la conduttrice rimase il più sofferto, diventò suo malgrado un inno alla liberazione sessuale. 

 

I costumi erano sontuosi e provocatori. Sabatelli cambiò il rapporto fra lo spazio fisico e quello simbolico di Raffaella Carrà, trasformandola in icona. Nessuna spettatrice avrebbe mai potuto potrebbe vestire come lei, ma avrebbe però potuto riconoscersi nel dettaglio di un rever, di una spallina esagerata, di un decoro: durante le tre stagioni di “Pronto Raffaella”, i suoi tailleur esageratissimi venivano subito venduti a signore più che felici di farsi adattare “una mise della Carrà”.

Lo avrebbero fatto fino a pochi anni fa, imitando i suoi mezzi guanti di pelle nel talent The Voice of Italy, scelti dal fidato Sabatelli per nasconderle un po’ le mani. Non era costume, Raffaella Carrà, e non era moda, e non era nemmeno la signora Pelloni. Era, appunto, una terza persona. Il personaggio, come deve essere.

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