Confronto aperto

Manovre e incognite sul Quirinale e il futuro di Palazzo Chigi

Oggi l’incontro Letta-Renzi. Ieri un altro faccia a faccia tra vecchi nemici: Conte e Salvini. La politica cerca il dialogo. B. riunisce i suoi lunedì

Manovre e incognite sul Quirinale e il futuro di Palazzo Chigi

Non basterà una figura autorevole e di prestigio al Colle per garantire la “stabilità” del Paese senza un esecutivo di continuità su programma, riforme, Pnnr e crescita. Il lavoro delle forze politiche è orientato in queste ore a sciogliere il nodo gordiano di Palazzo Chigi senza un premier, lì dove l’ipotesi sempre più probabile di Mario Draghi presidente della Repubblica andasse in porto. Sul piano istituzionale e politico le incognite sono ancora molte ma le manovre vanno tutte nella direzione che abbiamo appena indicato. Anche lo stallo imposto da Berlusconi alla coalizione di centrodestra a tre giorni dall’inizio degli scrutini, che si ripercuote inevitabilmente sul centrosinistra, dovrà in tempi rapidi interrompersi. 

 

Intanto, oggi, faccia a faccia a Palazzo Giustiniani tra Enrico Letta, segretario del Pd, e Matteo Renzi di Italia Viva. La partita del Quirinale sta ‘costringendo’ ad un confronto diversi vecchi nemici che in nome del Colle stanno mettendo da parte divergenze, sgambetti e rancori passati per un dialogo diretto e, si spera, franco. Ieri è stata la volta di Matteo Salvini e Giuseppe Conte che non si incontravano vis a vis da agosto 2019, oggi di Letta e Renzi. Degli ultimi due è rimasta negli annali della politica la più algida cerimonia di consegna della campanella che si sia mai vista a Palazzo Chigi. Tant’è.

 

Da fonti azzurre si apprende che lunedì mattina sono convocati i grandi elettori di Forza Italia, circa 150 fra senatori, deputati e delegati regionali, per coordinare il lavoro in vista dell’elezione del successore di Sergio Mattarella e rafforzare il coordinamento con le altre forze politiche del centrodestra. Ma il clima è teso tra Lega, Fi e FdI. I leader sanno bene che adesso la partita non è solo il Colle ma anche il governo. Meloni e Salvini non hanno intenzione di rimanere ancora per tre giorni vincolati alle decisioni del Cavaliere. Si pronuncia anche Giovanni Toti di Coraggio Italia che in Aula muoverà una pattuglia di 32 parlamentari. “In caso Draghi vada al Colle ci sono due opzioni: un governo che sostituisca Draghi con un altro tecnico di garanzia e allora non faccio nomi per non fare danni ad amici che siedono nell’esecutivo, magari rafforzato con l’ingresso di alcuni ministri politici. Oppure un governo politico in cui i leader si impegnano direttamente”. 

 

Secondo indiscrezioni un governo più politico piacerebbe molto al segretario del Carroccio. Che sarebbe addirittura intenzionato a tornare al ministero dell’Interno, affermando così una sorta di rivincita nei confronti della maldigerita di sempre, Luciana Lamorgese. Fantapolitica. Cambiare volto al governo attuale di unità nazionale, dandogli una accezione maggiormente partitica rispetto alla connotazione tecnica- politica che ha oggi, è un’operazione che richiederebbe parecchio tempo. Questi non sono nodi che si sciolgono velocemente. Inoltre, bisognerà attendere e vedere in che clima, se di effettiva collaborazione tra le forze in campo, verrà eletto il nuovo capo dello Stato. 

 

Mario Draghi resta l’ipotesi più accreditata e non potrebbe non esserlo. Da giorni c’è si sta lavorando sotto traccia per non mandare all’aria il progetto. Per il Quirinale è sempre stato così. In genere i nomi che escono alla vigilia sono i primi ad essere bruciati. E’ vero però che mai il Paese si era trovato in una situazione così inedita, in cui i destini dei due Palazzi – Quirinale e Chigi - fossero tanto legati. Per non parlare del contesto in cui si muove l’Italia tra pandemia, crisi economica e una montagna di risorse europee che il Paese deve essere in grado di spendere entro il 2026. Ma le negoziazioni vanno avanti. Anche nel M5S lo zoccolo duro contrario all’ex numero uno della Bce al Colle sembra si stia ammorbidendo dopo l’assemblea dei parlamentari di ieri sera. Il Pd dal canto suo insiste: “Non voteremo mai un candidato di centrodestra, ma un presidente super partes”. E pensa al premier.

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