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Palazzo Chigi

Mario Draghi e la difficile scelta dei nuovi vertici della Rai

Nei ruoli chiave il premier predilige donne e uomini di Stato, come dimostrano la nomina di Figliuolo e Belloni. Sarà così anche per la tv pubblica?

Mario Draghi e la difficile scelta dei nuovi vertici della Rai

La nomina di Elisabetta Belloni a capo del Dipartimento che coordina i Servizi segreti italiani non mette in evidenza solo l’autonomia di Mario Draghi dalla politica. Ma anche la sua predilezione per scelte che ricadono su donne e uomini di comprovata esperienza e fiducia. Il generale Francesco Paolo Figliuolo, passato dall’Esercito al ruolo di Commissario straordinario per l’emergenza (dopo Domenico Arcuri, la cui investitura fu tutta politica) è stato il primo segnale. Il secondo è arrivato ieri sera, con la preferenza per un profilo parimenti alto e su cui il premier fa personale assegnamento.

 

Draghi conosce la nuova direttrice del Dis, che viene da 36 anni di diplomazia durante i quali ha maturato un consistente bagaglio di conoscenze degli scenari internazionali, specie di quelli di crisi. Il solco tracciato dall’esecutivo potrebbe allungarsi ancora con il pacchetto di nomine Rai. Un groviglio politico che Palazzo Chigi ha da districare, da un lato tenendo a bada il famelico assalto alla diligenza – i partiti lo perpetuano dalla fondazione della tv pubblica - dall’altro, suggellando il must della perizia nei gangli più delicati del potere. I nuovi uomini Rai dovranno essere di prodotto e fidati.

 

Non sarà facile. I feudi politici alzano muri di difesa, la longa manus dei partiti non rinuncerà docilmente a rendite di posizione. Ma l’ex governatore di Bankitalia ha l’autorevolezza e la ‘blindatura’ parlamentare per rigare dritto e ignorare velleità spartitorie. Chigi ha in mano la nomina di presidente e amministratore delegato della Radiotelevisione italiana, intorno a cui si muovono da anni efferate lotte di potere. Nel 2018 presidente è stato nominato Marcello Foa di area salviniana e Ad Fabrizio Salini, ex renziano ma gradito ai grillini forse per il passato alla direzione de La 7, emittente considerata benevolmente dal Movimento. Sui loro nomi Lega e 5S ai tempi del governo gialloverde trovarono un accordo.

 

Oggi sta al presidente Draghi decidere se dare ancora spazio esclusivo ai partiti o cambiare passo, indicando nomi di manager in grado di rilanciare le reti di Stato e curare il prodotto. Il rischio che corre è uno solo: a furia di andare per la propria strada i rapporti con alcune forze politiche che già scalpitano potrebbero deteriorarsi. Col tempo, si intende. Perché nessuno in questo momento ha interesse a rompere il patto di ‘unità nazionale’: ci sono 200 miliardi del Recovery Plan da spendere e serve stabilità. Questo fa dell’ex capo dell’Eurotower un premier inattaccabile, anche agli occhi del Quirinale. Ma con un’avvertenza: gli equilibri in politica cambiano più rapidamente di quanto si possa immaginare. E’ vero, il contesto attuale è favorevole.

Nel centrodestra come nel centrosinistra le alleanze sono in crisi. I partiti stentano a trovare un baricentro interno, con ripercussioni sui rapporti con i precedenti compagni di strada. Vedi Pd e pentastellati che, sulle candidature nelle grandi città per le amministrative di autunno, si sono arenati. Vedi pure Meloni e Salvini. I due sovranisti hanno preso direzioni diverse – uno è entrato in maggioranza, l’altra è rimasta all’opposizione – e ora si contendono la leadership.

 

Con una politica così disorientata il premier ‘esterno’ può rimanere più facilmente lontano da contaminazioni partitiche, ma i voti in Parlamento li deve contare comunque. E a inizio 2022, con l’elezione del nuovo capo dello Stato, lo scenario sarà suscettibile di mutamenti. Qualcuno potrebbe essere tentato dal prendersi rivincite, o fare sgambetti, che ora non può permettersi. 

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