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Europeo, medaglie e credibilità non bastano

Italia con Draghi, ora serve un movimento politico di popolo

L’azione di governo del premier Draghi, anche in Europa, necessita di una propria forza politica, riformista e popolare, non di alleati d’occasione

Italia con Draghi, ora serve un movimento politico di popolo

La seconda estate del Covid ha regalato all’Italia alcune certezze, che vanno consolidate: la prima è quella più vista ed evidente, la vittoria dell’Europeo di calcio a Wembley contro gli inglesi e le 10 medaglie d’oro alle Olimpiadi di Tokyo (tra cui il primato nei 100 metri, nella staffetta 4x100 e nel salto in alto che sono le discipline più nobili e iconiche dell’atletica); la seconda è l’efficacia dei vaccini perchè la quasi totalità dei contagiati che vanno in terapia intensiva non è immunizzato; la terza è la leadership di Mario Draghi, riconosciuta pienamente in Europa e nel mondo come certificato dal Financial Times di qualche giorno fa: “il suo governo ha dato stabilità all’Italia, mentre la Francia e la Germania hanno di fronte elezioni incerte”.

 

Per lo sport aspettiamo conferme ai Mondiali del Qatar alla fine del 2022 e alle Olimpiadi di Parigi fra quattro anni (quelle che Virginia Raggi e i grillini rifiutarono sdegnosamente cinque anni fa); per il virus dobbiamo abituarci ad una convivenza medio-lunga, mantenendo alta la guardia, utilizzando magari il green pass come lasciapassare naturale per evitare ricadute gravi e mantenere il ritmo di recupero dell’economia che (grazie alla vitalità della manifattura, ai fondi europei in cambio di alcune riforme che avremmo dovuto fare da tempo da soli e alla credibilità del premier) si profila elevata, stavolta tra le prime del vecchio continente.

 

A prima vista non sembra, ma la questione più difficile appare purtroppo quella che dovrebbe essere la più facile e scontata per il Paese: mantenere Mario Draghi alla guida del governo o valutarne il passaggio alla presidenza della Repubblica ma in modo che possa disporre di un quadro politico e gestionale in grado di rispettare gli impegni con l’Europa, governare la pandemia e il debito, continuare a dare ossigeno all’economia.

Vi immaginate infatti dieci o quindici anni fa la Germania che accantonava Angela Merkel perchè poteva risultare ingombrante agli occhi di qualche piccolo capo partito tedesco? Eppure il rischio che corre non Mario Draghi (che non deve dimostrare nulla e può permettersi tranquillamente di stare di più nella sua casa di campagna in Umbria) ma il Paese, è proprio questo: il Pd, pur ufficialmente sostenitore del governo, alla fine baratterebbe i voti grillini per la presidenza della Repubblica a Romano Prodi in prima battuta o a qualche altro ex Dc di seconda fila con la promessa del ritorno a palazzo Chigi di Giuseppe Conte, l’ex premier per caso che tuttora ritiene di aver salvato l’Italia con le narrazioni di Casalino e le mascherine, le primule e i banchi a rotelle di Arcuri e che è stato votato da metà degli iscritti grillini leader del Movimento in una corsa solitaria che non ha riscontri simili nel mondo, infatti cinesi, russi e cubani almeno votano liste con tutti i componenti del comitato centrale e lo fanno senza suonare le grancasse del voto on line o del grande pronunciamento democratico.

Sul fronte di centro destra dello schieramento parlamentare invece, che pure ha finora sostenuto con più convinzione il governo, Fratelli d’Italia e Lega si contendono il primato e quel che resta di Forza Italia e comunque nemmeno uniti e compatti sarebbero in grado di eleggere da soli l’inquilino del Colle, nè Draghi può essere il candidato di una parte, qualunque essa sia.

 

Il fatto è che tuttora girano nel Paese vere e proprie superstizioni e credenze installate ad arte attraverso i social ed estremizzate dai fiancheggiatori più consapevolmente truffaldini sul periodo d’oro che sarebbe stato interrotto da Sergio Mattarella con la scelta dell’ex presidente della Bce, periodo d’oro contrassegnato da oltre 100 mila morti per la pandemia, dalla gestione oscura di 26 miliardi di euro a debito, da inutili passerelle, da giravolte tra le alleanze internazionali dell’Italia, dalla gestione familistica dei servizi segreti e dalla ricerca (fortunatamente vana) di qualsiasi voltagabbana in Parlamento per restare in sella.

Tra le cose positive va ricordata la battaglia per il Recovery Fund, ma è chiaro a tutti che la svolta europea in direzione della solidarietà deriva, allora come oggi, dall’emergenza Covid e non dalla capacità di persuasione del premier pro tempore di uno stato membro, peraltro sempre sotto accusa per la sua spesa pubblica e il rapporto squilibrato tra debito e prodotto interno lordo.

 

Come fare allora per mantenere Draghi a Palazzo Chigi, obiettivo minimo ma decisivo nella situazione data, senza addentrarsi nella giungla dell’elezione del capo dello Stato, che storicamente ha alternato scelte non prevedibili a convergenze derivanti da accordi ampi? Poichè l’ex presidente della Bce non farà mai l’errore di fare un partito, ha ben altra esperienza, solidità e piedi per terra rispetto ai tentativi maldestri di Mario Monti nel 2013 e di Lamberto Dini nel 1995, allora è del tutto evidente che tocca ai cittadini più consapevoli della necessità per il Paese di mantenere Draghi alla guida del governo muoversi per mobilitare una fascia più ampia di opinione pubblica e costruire una piattaforma politica di sostegno all’attuale presidente del Consiglio, l’italiano più conosciuto, e soprattutto più stimato, nel mondo.

 

Perchè oggi un movimento che si potrebbe semplicemente chiamare Italia con Draghi (e poi essere declinato allo stesso modo su regioni, città e comuni, tipo Lazio con Draghi, Milano con Draghi, Gesualdo, Orvinio, Fiumefreddo, Adelfia, Castel San Giovanni o Tortona con Draghi) potrebbe avere più successo di Scelta Civica o di Rinnovamento italiano? Primo, perchè il Movimento non sarebbe promosso da Draghi ma da chi vuole che continui a fare il suo lavoro di governo a servizio del Paese. Al massimo infatti, il premier dovrebbe inviare un messaggio alle forze che sostengono il suo governo, quindi anche al movimento che si richiama direttamente a lui, al momento delle elezioni e poi al primo congresso. Secondo, perchè oggi i voti che i sondaggi attribuiscono a ciascun partito non vanno al di là, per i più grandi, di una forchetta del 15-20 per cento. Quindi, l’area di consenso di Italia con Draghi potrebbe facilmente essere di consistenza analoga, con ciò bloccando l’eventuale crescita dei competitor e delle loro spinte centrifughe. 

 

Sin qui il mero spazio che la semplice presenza di una lista che si rifà al premier alle elezioni potrebbe guadagnare, ma l’operazione ha un valore politico infinitamente più importante se si guarda da una parte alla storia e dall’altra all’assenza di un partito di centro (nel senso di centrale) nello schieramento italiano, quel che Forza Italia non è riuscita ad essere perchè ha guardato solo alle alleanze sulla propria destra nello schema bipolare della Seconda Repubblica. Invece un movimento che si rifà al lavoro di ricostruzione del Paese cominciato da Mario Draghi getta le fondamenta per un moderno movimento politico, popolare, di massa, riformista e moderato nel solco della grande tradizione del popolarismo europeo e aggrega quanto già si muove, da Azione di Calenda a Italia Viva di Renzi, altrimenti destinate a vagare nel contingente senza un approdo solido.

Non sono aggettivi messi in fila per abbondare, nè solo per distinguersi da tentativi scolastici in atto per salvare il salvabile tra i grillini con le vertical farm e le leggi speciali addirittura per Milano (e le città peggio messe economicamente e socialmente cosa dovrebbero chiedere?) auspicate senza arrossire sul Corriere dal solito Conte: l’Italia non vede l’ora di tornare ai fondamentali di una politica pragmatica che non dimentica i valori, il sociale e la storia. Alcide De Gasperi, e poi Moro, Fanfani, Cossiga e Andreotti in Italia o Helmut Kohl in Germania non sono riferimenti lontani perchè, sia pure con una storia personale completamente diversa, il Mario Draghi del whatever it takes è l’unico che può citarli senza sfigurare, fatte le debite differenze tra le rispettive epoche.

 

C’è anche da dire che ci si trova di fronte ad alcuni appuntamenti della storia che uno non cerca e non persegue, ma un movimento di popolo può nascere anche contro la stessa volontà di chi lo ispira, proprio perchè è storicamente necessario: se anche il premier pensasse ad un proprio ruolo di guida dell’Europa, anche in tal caso servirebbe una forza politica consistente alle spalle, come appunto le vicende del dopoguerra insegnano. Soprattutto chi non ha cercato cariche politiche non può sottrarvisi nel bisogno, se la richiesta viene da un Paese che si rende conto dei rischi che sta correndo e delle opportunità che può avere di fronte, a cominciare dalle centinaia di migliaia di piccoli e medi imprenditori che qui da noi sono la cartina di tornasole di ogni svolta non solo economica.

 

Tornando alle cucine organizzative (che pure nei passaggi storici esistono), possiamo escludere sin d’ora che il premier si faccia fotografare in posa elettorale con cani e bambini in stile Monti-Conte o che nomini il generale Figliuolo segretario organizzativo. Il movimento d’opinione che lo appoggia è prima di tutto interesse e cura dei cittadini che vogliono che il Paese possa continuare ad essere ben governato avendo peso e credibilità in Europa e nel mondo. È questo il programma e la motivazione dell’agire. Se poi gli stessi cittadini non vogliono morire post-grillini, post-piddini o leghisti e meloniani va benissimo ma si tratta di argomenti secondari che vanno bene per la polemica quotidiana con tali soggetti politici nella legittima competizione politica ed elettorale.

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