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La grande moda ai tempi del Covid punta tutto sui colori e i fiori

Le sfilate “phigital” e ambientaliste di Valentino, Scervino, Tod’s, Prada e Cucinelli hanno oscurato anche Irina Shayk, Joan Smalls e Natasha Poly

La grande moda ai tempi del Covid punta tutto sui colori e i fiori

Non tutti gli allestimenti delle sfilate “phygital” della settimana della moda di Londra e milanese appena concluse (quella di New York è data ormai per persa) erano selvaggiamente ed elegantemente invasivi come quello di Satoshi Kawamoto per Valentino, alle Fonderie Macchi. “Una visione di cosa può essere il romanticismo oggi interpretato da donne e uomini veri“, come è stato scritto nelle note di sfilata, la prima collezione donna mai presentata a Milano da Pierpaolo Piccioli (e dallo stesso Valentino Garavani). 

 

Era atteso, dopo mesi di lockdown; anzi, era quasi inevitabile. “The park of human life”, come ha titolato il Financial Times qualche giorno fa. Voglia di vita, voglia di respirare ovunque, con la moda ad aiutarci a rivestire il corpo di qualcosa che ci piace e ci fa sentire belli, e, soprattutto, vivi. Ricordiamo ancora la gioia infinita che colse noi milanesi quando, dopo tre mesi chiusi in casa, corremmo a piedi, in bici, col bus, sotto le torri di Porta Nuova ad ammirare il prato e le collinette disseminate di papaveri, fiordalisi e margherite e ci veniva da piangere. 

 

I fiori, i parchi, i boschi, sono stati infatti l’elemento che più ha caratterizzato la rappresentazione delle collezioni, in via digitale e in presenza, nell’immaginario e nel segno. La Maremma e le spiagge della Toscana più spontanea nel filmato di Ermanno Scervino, talmente scintillante nel riverbero del sole da far quasi dimenticare la presenza di tre star della bellezza mondiale come Irina Shayk, Joan Smalls e Natasha Poly. Il verde dell’allestimento di Etro. I fiori stampati, ricamati, graffitati, ritagliati e applicati su centinaia di vestiti, sugli spolverini maschili di Ferragamo, sugli abiti di Pucci, disegnata per questa stagione da Tomi sui pantaloncini di pizzo e gli abiti crochet di Valentino, dove – nota a margine - si iniziano a vedere gli effetti della nomina di Jacopo Venturini, campione del merchandising sorprendente, al ruolo di amministratore delegato: la carica immaginifica delle collezioni è sempre quella, potente, di Piccioli, ma finalmente può contare sulla necessaria messa a terra, e dunque anche gli accessori (anzi, quelli per primi) diventano chic ma anche facili, desiderabili, portabilissimi: molti fiori di pelle, rose morbide ritagliate e applicate sulle tomaie. 

 

E rose di nappa anche sui top di Brunello Cucinelli. La natura, quando non c’era, si è imitata o si è enfatizzata e talvolta si è esagerato, come da Burberry, che ha diffuso un racconto video in cui si percepiva la difficoltà, per non dire l’incapacità, di gestire le troppe suggestioni, le tante collaborazioni di cui il direttore creativo Riccardo Tisci si è circondato e che avrebbero funzionato benissimo con una sfilata in presenza: raccontare una collezione attraverso uno schermo è un’altra cosa. 

 

L’ha capito benissimo Tod’s, che ha costruito un divertente filmato-staffetta fra modelli; molto meno bene, per dire, Elisabetta Franchi. Però, e appunto, fiori e piante ovunque, e molte rose, perfino nella straordinaria evoluzione del marchio Prada, che presentava la prima collezione nata dalla partnership creativa fra Raf Simons e Miuccia Prada e che è riuscitissima, perché nessuno più di loro due unisce la stessa grazia intima e pudica allo stesso rigore e amore per le forme pure. L’equivalente di un fiore, della sua stilizzazione, della sua natura che tutti questi nomi, tutti noi, cerchiamo con sempre maggiore consapevolezza di imitare e preservare. Le prime sfilate del Covid ci hanno fatto scoprire innanzitutto questo.

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