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La squadra di governo

Draghi e il compromesso buono: il nucleo duro del governo è al sicuro

Per i tecnici (e l’Economia) il modello direttore esecutivo della Banca Mondiale. Il Nord torna centrale con 18 ministri su 25. Fuori dal governo i contiani

Draghi e il compromesso buono: il nucleo duro del governo è al sicuro

E’ il governo di Mario Draghi che mette un suo direttore esecutivo (tipo Banca Mondiale) all’Economia, tiene gli altri ministeri chiave in mano ai tecnici e al fidato interlocutore nella Lega Giancarlo Giorgetti, elimina il ministero per gli Affari europei perchè se ne occupa lui direttamente e concede molti posti di secondo piano ai politici che devono portargli i voti in Parlamento. In più cancella gli ultimi seguaci di Conte (Boccia, Amendola e Gualtieri) e a sottosegretario alla presidenza, quindi accanto a sè, mette un uomo esperto come Roberto Garofoli, già segretario generale di palazzo Chigi e capo di gabinetto del Tesoro, poi cacciato dai grillini (e da Casalino). Lascia Lamorgese all’Interno e sostituisce Bonafede con Marta Cartabia, e la distanza si calcola in anni luce. A prima vista sembrerebbe un governo “normale”, anzi con molti riciclaggi, in realtà ha un nucleo durissimo con un centravanti da 40 reti a stagione come il premier stesso, un centrocampo solidissimo e mezze ali che devono aiutare in Parlamento come Di Maio e Franceschini.

 

Si tratta poi di un governo con forte radicamento al Nord, che ha complessivamente 18 ministri, mentre il Sud ne ha cinque e il centro appena due. E’ un segnale forte alle aree produttive del Paese, a quelle che dovranno giocoforza trainare la ripresa. E azzera anche il contenzioso con le Regioni: chi resta a litigare, Michele Emiliano da solo? 

 

Se c’è debito buono e debito cattivo, allo stesso modo si può dire del politico Mario Draghi che c’è compromesso buono e compromesso cattivo, e questo suo governo che deve portare il Paese fuori dalla pandemia e dalle secche dell’economia è un compromesso buono. I grillini sono passati da 10 ministri a 4 pur essendo la formazione parlamentare più ampia: quindi, è come se li avesse riportati al loro peso reale nel Paese. Ovviamente, non ha dato a un grillino il ministero della Transizione ecologica. Ha dato un segnale a Franceschini togliendogli il Turismo, ha dato un secondo schiaffo a Conte dando un ministero importante a quel Vittorio Colao che l’ex premier al massimo della sua illusione di potere aveva usato e buttato. 

 

Diciamo che ha fatto il massimo con la legna che aveva (non pensiamo certo che se entravano Zingaretti o Grillo al governo la qualità si sarebbe impennata), dando anche a Forza Italia un credito per il futuro. Ci si aspettava che togliesse il mite Speranza, ma il problema semmai è silenziare i suoi troppi esperti e questo obiettivo sarà facilmente raggiunto. Bisogna tener poi conto che chi ha impersonato di più gli errori della lotta alla pandemia è stato semmai Arcuri, in stretta correlazione con l’ex premier e la decisione di confermargli la fiducia o avvicendarlo è la prima decisione operativa che il premier dovrà prendere. Allo stesso modo dovrà decidere sulla delega ai Servizi. Renzi ha provato a intestarsi qualche tecnico ma ha dovuto rinunciare ad un ministero e certamente Boschi e Bellanova gli daranno qualche tormento.

 

Questi sono i fatti, e la distanza siderale dal governo precedente siamo certi si vedrà dalla prevalenza della sostanza delle decisioni rispetto alla comunicazione usata solo a fini di consensi personale, dalla considerazione che l’Italia recupera in Europa (non solo perché il premier ha guidato per otto anni la Bce e ha salvato l’euro ma anche per la Lega, oggi primo partito nei sondaggi, recuperata sulla via di Bruxelles) e nel mondo, dal solido atlantismo ritrovato dopo gli anni dello scivolamento verso Pechino e Mosca. Certo, molto c’è da fare, la situazione delle imprese e del lavoro è molto difficile, troppi dossier (a cominciare da Autostrade e Alitalia) vanno ripresi in mano, ma il Recovery appare blindato e le corsie con l’Europa libere.

 

Notazione di cortesia per Giuseppe Conte, che ora ha cambiato la cravatta sui toni di blu in una rosso vivo: avesse aperto lui il suo governo agli apporti esterni invece di trincerarsi con i fedelissimi forse la storia sarebbe cambiata, e ora la traversata del deserto è peggiore del previsto ma se l’è costruita con tenacia degna di miglior causa. Rimpianto invece per Riccardo Fraccaro, che ha pagato soprattutto colpe non sue, ma si è intestato uno dei pochissimi provvedimenti del Conte 2 che sta funzionando, l’ecobonus 110 per cento.

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