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Politica internazionale

Difesa comune: il tabù che l’Ue non riesce ancora a superare

La crisi afghana riaccende il dibattito su un esercito e una politica estera unitaria europea. Dopo il fallimento della Ced sono 70 anni che se ne parla

Difesa comune: il tabù che l’Ue non riesce ancora a superare

È stato per primo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, due giorni fa a lanciare l’appello. “L’Europa deve dotarsi di strumenti di politica estera e di difesa comune”, ha detto il capo della Stato alla luce dei fatti che hanno coinvolto l’Afghanistan e che stanno rivelando le debolezze dell’Europa nel fronteggiare una crisi dagli esiti imprevedibili


Oggi il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è stato ascoltato dal Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica. Tutte le previsioni convergono su una recrudescenza del terrorismo internazionale. Secondo quanto riferisce una nota del presidente del Copasir, Adolfo Urso, si è discusso di come poter continuare l’espatrio di coloro che sono costretti a lasciare il Paese.

Ma anche del problema che è a monte delle scelte e delle modalità di intervento per salvare vite umane e ridurre i danni della svolta autoritaria che ha riportato la sharia nel Paese dell’Asia meridionale.

Il tema centrale, si è detto al Copasir, è quello della “necessità di costruire una effettiva Difesa europea, pilastro di una rivisitazione del ruolo e degli assetti dell’Alleanza Atlantica, nella quale l'Europa dovrà necessariamente assumere una maggiore responsabilità. Una posizione che sembra trovare d’accordo le diverse voci all’interno dell’esecutivo guidato da Mario Draghi.

L’uscita dei militari occidentali dal territorio afghano ha lasciato dietro di sé una tragedia umanitaria di proporzioni immense e il terremoto politico che ha coinvolto l’intera area complica gli scenari internazionali. Di fronte a un Occidente, silente e inerte, i talebani si sono ripresi il potere che avevano perso nel 2001.

 

Negli assetti attuali l’Europa si è scoperta ininfluente, incapace di avere un peso quando si tratta di crisi di una simile portata. Ma la svolta che molti auspicano per Bruxelles non è storia di oggi. Si tratta di una vexata quaestio che accompagna dai primissimi anni ’50 l’altalenante cammino post-bellico della Comunità europea prima, e dell’Ue dopo. 
Già nel 1951 il successo che i sei Paesi fondatori ottennero con la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio spinse a formulare l’idea di rendere comune il settore della difesa. La proposta di un esercito europeo e di un ministro unico arrivò dalla Francia, la cui attenzione era rivolta principalmente ad impedire il riarmo della Germania. Il 27 maggio del 1952 a Parigi fu firmato il Trattato che istituiva la Ced, la Comunità Europea di Difesa. Al comando unificato delle forze armate degli Stati membri avrebbe provveduto un Commissariato nominato di comune accordo.

Ma il Trattato non fu ratificato proprio dallo Stato che l’aveva proposto, la Francia. Il progetto di un esercito europeo e di una strategia comune per affrontare le crisi internazionali fallì.

Da allora sono state numerose le occasioni in cui si è tornato a parlare di quell’idea, in un’Europa in cui le esperienze per un’effettiva integrazione e cooperazione tra gli Stati hanno vissuto fasi alterne e conflittuali. Specie quando si è trattato di cedere parti di sovranità nazionale o trovare accordi che modificassero l’impegno politico dei singoli Paesi. In settanta anni quel progetto, ambizioso, di una difesa comune non è più decollato: l’unione militare è come un tabù che l’Ue non riesce a superare

 

Un punto cruciale che in seguito nessuno ha mai voluto affrontare concretamente sulla scia di vecchi e nuovi nazionalismi. Ma che gli eventi mondiali, ancora una volta, riportano al centro del dibattito per i futuri equilibri geopolitici, non solo tra Ue e Stati Uniti. Anche tra Ue e resto del mondo.

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