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Orizzonte 2023

Salvini e Meloni: i due leader che restano su strade diverse

Le ruggini post-Colle sono ancora tutte lì e anche sui referendum i due giocano partite diverse. Ma è più Meloni ad aver bisogno di Salvini che il contrario

Salvini e Meloni: i due leader che restano su strade diverse

Anche sui referendum relativi alla giustizia cammineranno seguendo percorsi paralleli. Matteo Salvini, promotore con il Partito Radicale dei quesiti referendari, è soddisfatto: 5 su 6 sono stati ammessi dalla Corte Costituzionale. Esulta, parla di “grande giorno per l’Italia e la democrazia”. Dall’altro lato del centrodestra Giorgia Meloni frena gli entusiasmi e voterà per l’abrogazione solo delle disposizioni sulla separazione delle carriere dei giudici e sulle elezioni per il Consiglio Superiore della Magistratura. Il clima tra i due è gelido. Le tensioni, frutto delle incomprensioni che sono venute a galla durante l’elezione del presidente della Repubblica, sono ancora tutte lì. Alimentate da una distanza politica e personale crescente. Il segretario del Carroccio non vuole polemiche, almeno non sui referendum. Così si è espresso ieri dopo la presa di posizione del partito della Meloni. Ma con ogni probabilità l’obiettivo è continuare ad evitare un confronto diretto con la partner-competitor. E seppure quest’ultima va ripetendo nei talk e sui giornali che “serve prima un chiarimento” la questione resta aperta, anzi apertissima.

 

È difficile dire se Lega e Fdi, entrambi di destra, ma uno di lotta e l’altro di governo, riusciranno in un prossimo futuro a ricomporre divergenze e fratture in vista delle politiche che attendono il Paese a inizio 2023. Senza dubbio il capo del Carroccio è in difficoltà nell’essere parte della maggioranza di governo. Su diversi temi – dal green pass all’obbligo vaccinale – per restare nell’esecutivo di Mario Draghi ha fatto parecchi passi indietro. Rinunciando alle tentazioni populiste per adeguarsi, obtorto collo, a una linea governista, quella giorgettiana per intendersi. Un prezzo che il senatore paga nei confronti della sponda più radicale e oltranzista della Lega, la stessa a cui spesso e volentieri parla Meloni, convinta di poter intercettare lì un malcontento crescente verso il moderatismo manifesto del capo.

 

Ma se è vero che Salvini non se la passa benissimo (dopo gli errori commessi nella partita quirinalizia nella Lega non sono proprio tutte rose e fiori), per Fdi non va meglio. Meloni non ha la minima intenzione di uscire dal guscio della destra radicale, alimenta rapporti con i partiti estremisti europei, stenta a costruire una classe dirigente credibile: lo ha dimostrato quando ha avuto la possibilità di imporre i suoi fragili candidati alle amministrative dello scorso settembre con gli esiti che tutti conosciamo. Pensiamo al caso di Enrico Michetti nella capitale.

Tuttavia, ha la ferma volontà e la fretta - se non altro per destrezza politica - di accreditarsi come interlocutrice affidabile sul piano istituzionale. Il rischio, diversamente, è quello di restare isolata, arroccata su un’opposizione ideologica priva di qualsiasi radicamento nella realtà che la gente vive ogni giorno. Il problema è l’economia, è il potere di acquisto dei salari, è il caro vita, le bollette che raddoppiano.

 

Su questi temi l’avversario Salvini è in vantaggio perché dal governo può quanto meno dare un’immagine di attivismo politico in favore dei ceti più colpiti dalla crisi, in primis le piccole e medie imprese. Mentre i discorsi di Meloni oltre il populismo non vanno. La lotta contro il potere per chi aspira a quel potere rischia di essere un messaggio puramente demagogico e del tutto insufficiente quando si aspira a guidare il Paese. Per questo è probabile che alla fine abbia più bisogno la Meloni di Salvini, piuttosto che il contrario.

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