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Le scelte

Invasione russa dell’Ucraina, l’Ue deve accelerare in tre direzioni

Difesa comune, energia, politiche migratorie: l’Unione europea ha perso troppo tempo. Adesso abbandoni esitazioni e divisioni prive di senso della realtà

Invasione russa dell’Ucraina, l’Ue deve accelerare in tre direzioni

La guerra della Russia all’Ucraina costringe l’Europa a grandi cambiamenti in tre direzioni fondamentali: la difesa militare, l’autosufficienza energetica, la gestione dei processi migratori. Tre urgenze di pari importanza.

 

La Difesa comune

Il tema della difesa europea è stato fino ad oggi costellato più da fallimenti che da successi. Nei primi anni cinquanta gli ottimi risultati ottenuti dalla Ceca, la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, avevano dato una forte spinta agli Stati fondatori sulla strada dell’integrazione, proponendo anche il progetto di rendere ‘comune’ il settore della difesa. La proposta di creare un esercito europeo e, dunque, un dicastero unico della Difesa venne dalla Francia. Il 27 maggio del 1952 fu firmato a Parigi il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa, la CED, incentrato su un organo indipendente, denominato Commissariato. Progetto che però non decollò mai. A soli due anni di distanza dalla firma fu la stessa Francia a fare un passo indietro: l’Assemblea nazionale rifiutò di ratificarlo. Da allora un sostanziale avanzamento delle trattative si è registrato solo con le norme introdotte nel 1992 con il Trattato dell’Unione europea, noto come Trattato di Maastricht, che comprende disposizioni sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC), la cui definizione è stata affidata al Consiglio europeo. Dal 1999 è stato nuovamente avviato un progetto di Difesa comune e create diverse strutture per incrementare la capacità militare. Si predisposero anche i criteri per la partecipazione ad una Forza di reazione rapida che inizialmente doveva essere costituita da 60 mila unità e che poi, nel tempo, è scesa a 5.000/10.000 militari. 

Ma le istituzioni europee non hanno mai realmente affrontato il problema della necessità di una difesa in caso di minaccia ai propri confini. Un’accelerazione si è registrata dal 2013 ma, nella sostanza, la difesa comune è rimasto negli anni un argomento divisivo in seno alle istituzioni di Bruxelles. E senza l’unanimità il Consiglio dei capi di Stato e di governo dei 27 non è in grado di adottare alcuna decisione. Come era presumibile che fosse, i contrasti maggiori si sono registrati tra Francia e Germania e, prima della Brexit, con la Gran Bretagna. Il risultato è che ad oggi l’Ue non ha una politica di sicurezza comune in caso di crisi e la guerra russo- ucraina sta mettendo tragicamente in evidenza i rischi di questa lacuna.

 

La centrale unica di acquisto delle fonti energetiche

La creazione di una centrale unica di acquisto delle fonti energetiche, parliamo essenzialmente di idrocarburi, di cui il Vecchio Continente ha ancora bisogno finché non si completerà (e ci vorranno decenni) il passaggio alle rinnovabili, è un salto essenziale. Per il momento gli Stati membri continuano a muoversi autonomamente. L’Italia è uno di questi e il perché è presto detto. Siamo tra gli Stati europei che più dipendono dal gas russo. Non è dato sapere se e quando Vladimir Putin deciderà di chiudere i rubinetti dei suoi gasdotti che riforniscono l’Europa, ma se dovesse accadere – ed è molto probabile – bisogna farsi trovare pronti.

 

In questi giorni il governo italiano sta prendendo contatti diretti con Algeria e Azerbaijian per aumentare le forniture che già arrivano dai due Paesi, rispettivamente attraverso il TransMed ed il Trans Adriatic Pipeline. Il primo gasdotto passa dalla Tunisia, il secondo attraverso Grecia, Albania e Mar Adriatico arriva a Lecce. Ma l’Italia deve considerare anche nuove possibilità e aprire eventualmente a produttori come il Qatar, in grado di offrire gas naturale non solo in grandi quantità ma a prezzi competitivi. 

 

La situazione sul fronte energetico si prospetta molto difficile per le settimane a venire. Il prezzo del gas per effetto dell’invasione Russa in Ucraina e delle conseguenti sanzioni contro Mosca è schizzato alle stelle raggiungendo nuovi record. Il contratto quotato ad Amsterdam, riferimento per i prezzi in Europa, ha fatto un balzo di 26,9 punti percentuali arrivando a stabilire un costo di 154,4 euro a megawattora contro i 147,5 della chiusura di ieri. Corre anche il prezzo del future trattato a Londra che segna un rialzo del 25,3% a 363,5 pence per Mmbtu, il British thermal unit, l’unità di misura dell’energia che viene usata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. 

 

L’emergenza umanitaria ucraina, l’Ue darà risposte ma senza una politica

Incertezze, tentennamenti, rinvii e divisioni sono stati anche alla base di una mancata politica migratoria europea. La non gestione a livello unitario dei flussi di migranti è stata più volte denunciata come un grande deficit da parte di alcuni Paesi, che più di altri per via della posizione geografica si sono trovati a fronteggiare vere e proprie emergenze umanitarie. Italia in primis. Adesso il dramma dei profughi ucraini, che si stima saranno nell’ordine di qualche milione se il conflitto non dovesse cessare in tempi brevi, pone in tutta la sua drammaticità l’urgenza di una politica Ue per coordinare flussi ed emergenze. Negli ultimi mesi, anche sulla spinta di alcuni Stati membri, si sono intensificati gli sforzi per definire una politica migratoria efficace, umanitaria e sicura. Dal 2022 è operativa l’Agenzia per l’asilo. Ma quello delle migrazioni è un fenomeno di portata enorme. Prima della guerra in Ucraina le difficoltà europee hanno riguardato le rotte dell’Africa occidentale e del Mediterraneo fino alle frontiere esterne Ue della Bielorussia. Ora l’immane tragedia della guerra nel cuore del continente costringerà l’Ue a trovare una soluzione che metta d’accordo tutti, ma pur sempre dettata dall’emergenza e senza politiche codificate. 

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