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Il ruolo del Colle

Mattarella ai tempi del Covid che si prese in anticipo una generazione

Sulla crisi serve un indizio, una parola, un percorso del Colle per uscire nel 2021 dalla palude. Incredibile Pd: “Nè con Renzi nè con Conte”. E ora?

Mattarella ai tempi del Covid che si prese in anticipo una generazione

Al suo penultimo discorso di fine anno da Capo dello Stato Sergio Mattarella ha insieme un compito tanto obbligato quanto difficile, umanamente e politicamente: ricordare le vittime del Covid, la dipartita anticipata di una generazione, con tutta la commozione e la partecipazione necessaria ma senza accennare alle responsabilità della seconda ondata quando in fatto di contenimento dei contagi e di risposta della sanità qualcosa di più poteva essere fatto. In più, lo diciamo sommessamente e con rispetto, sarebbe importante che accanto ai richiami forti e sentiti alla responsabilità e all’unità delle forze politiche dal Presidente venisse una parola, magari una frase anche in codice, che dia una direzione alla crisi politica e di governo più insidiosa almeno dai tempi dell’uscita di scena di Silvio Berlusconi che, travolto dallo spread, venne sostituito da Mario Monti alla guida di un governo tecnico. 

 

A pensarci bene, dovremmo tornare ancora più indietro nel tempo per trovare una situazione del Paese simile a quella attuale negli anni post bellici: ed è la lunga stagione del terrorismo, degli attacchi delle Brigate Rosse prima ai capireparto nelle fabbriche e poi al cuore dello Stato con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, richiamato strumentalmente nei giorni scorsi sia da Matteo Renzi sia da Giuseppe Conte. Anche allora, ovviamente non in tutta la popolazione come oggi di fronte al virus, c’era un Paese terrorizzato e attonito, eppure erano chiari ruoli e funzioni della classe politica, vi fu una maggioranza di fatto tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, che veniva consultato e coinvolto nelle grandi decisioni di sicurezza nazionale.

 

Oggi invece tutto svanisce nell’ormai perduto valore delle parole, sembra che nessuna di esse abbia più conseguenze nei fatti, la capacità di governo e di proposta viene facilmente scambiata con la capacità di comunicare tutto e il contrario di tutto dalla maggioranza come dall’opposizione, sui social e anche sui telegiornali vi sono solo facce sorridenti di politici che proclamano certezze in lunghi post o in 27 secondi di dichiarazione ad uso di telecamera, che poi siano del tutto dimentiche di quanto detto il giorno prima, contraddittorie e fallaci poco conta. Si parla solo alla propria tribù, e spesso nemmeno a quella. Il debito pubblico non può che decollare (e non c’è certo la voglia o la capacità di distinguere quello buono da quello cattivo, come bisognerebbe fare secondo Mario Draghi) ma i cosiddetti ristori non bastano nè potranno mai bastare, le disuguaglianze non potranno che aumentare e nessuno è in grado di individuare dove ci sarà il punto di rottura tra resilienza e rabbia sociale. Il Recovery plan già vale molto meno dei 209 miliardi sbandierati e poi va preso molto sul serio l’avvertimento di Paolo Gentiloni dei giorni scorsi per conto dell’Europa, che pure è stato rimosso in fretta e furia: “se non vengono raggiunti gli obiettivi previsti, le erogazioni semestrali successive all’approvazione del piano saranno a rischio”. Nè c’è dialogo utile con le parti sociali. Per cui non possiamo che fidare nei vaccini, nonostante l’incerto avvio, e nella riapertura delle attività e dell’economia. Altra strada non c’è.

 

Il Presidente conosce bene le responsabilità che in questo momento ha il Pd, come perno per storia e influenza dell’attuale maggioranza, e si suppone che riservatamente abbia chiesto al suo gruppo dirigente, a cominciare da Nicola Zingaretti, cosa intende fare, come vuole uscire dall’ambiguità tra Renzi e Conte (“né con l’uno e né con l’altro” proprio non si può sentire) e cosa ha in mente per il resto della legislatura fino al 2023. Così come certamente l’ha chiesto o lo chiederà a Giuseppe Conte, affaccendato davanti alle alternative che gli vengono prospettate: guida dei Cinque Stelle (da contendere a Di Maio), partito o movimento proprio, caccia ai “responsabili” al Senato, mentre è evidente che i grillini hanno come priorità quella di restare in Parlamento finché possono visto che sul territorio sono in ritirata.

 

A breve, tuttavia, il punto è uno solo: si può eventualmente affidare a numeri raccogliticci la gestione del Paese nell’anno persino più decisivo di quello che (facciamo gli scongiuri) è appena finito? E se non si vuole il ricorso alle elezioni, che riteniamo non debba sul serio essere escluso nemmeno durante la pandemia perché la democrazia è un bene superiore e il rischio di contagiarsi ai seggi non è superiore a quello di andare al supermercato, quali sono le altre opzioni? Perché è da escludere un governo di unità nazionale, che se non altro eviterebbe tutte le critiche strumentali e di parte, magari concentrandole sul merito delle decisioni che tale esecutivo prenderebbe? Perché il premier Conte non ha mai davvero voluto coinvolgere l’opposizione e ha rifiutato apporti esterni alla propria cerchia? O va previsto che i capi dell’attuale maggioranza, Zingaretti, Di Maio e Renzi diventino vicepremier per rafforzare il Conte 2 o battezzare un Conte 3? Ecco perché non bastano più gli appelli all’unità e alla coesione, ma nell’interesse del Paese servono atti politici conseguenti. 

 

C’è dunque un groviglio nei palazzi romani. Ma la situazione reale del Paese e le sue prospettive a breve sono peggiori. Anche sui vaccini siamo in ritardo, mentre giustamente e opportunamente il presidente Mattarella chiede a tutti di vaccinarsi. Sul tema delicatissimo della scuola giovedì 31 il ministro della Salute Roberto Speranza dice sulla prima pagina del Corriere che tornare in classe è un obiettivo prioritario mentre il suo consulente principale Walter Ricciardi apre La Stampa sostenendo che bisogna rimandare la riapertura. Per non scrivere dei gravi problemi di interi settori dell’economia, e della disperazione del commercio e del turismo.

 

Il presidente Mattarella ha una qualità rilevante, mai come in questo momento: anche se il suo ruolo la prevede, non ama la retorica, e per questo il suo discorso di fine 2020, un anno che sembrava solo bisestile come tanti, non potrà non avere accenti di verità. Cicerone in altri tempi e in altre circostanze proclamò in Senato: “fino a quando, Catilina, intendi dunque abusare della nostra pazienza?” Ma se negli auguri agli italiani non è il caso di riferirsi a ritardi, inerzie e immobilismi che la politica si rimpalla al suo interno come se niente fosse, una parola, una frase o un indizio per uscire dalla palude sarebbero utili e benvenuti per indicare un percorso a tutti i partiti presenti in Parlamento, nessuno escluso, oltrechè per chiarire le idee a taluni leader politici 

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